Avevo sentito la sua voce, una volta, come da un’altra stanza, e forse era da un’altra epoca. Un sottofondo limpido, appena percettibile. Io, una fatica indescrivibile per tendere il mio timpano come la pergamena sopra il bongo, perché vibrasse solo alla frequenza giusta a catturare quella voce annullando gli altri suoni. Solo una frase mi riuscì di decifrare, “Clara ti prendo la bicicletta, vado alla balera”. Una cadenza armonica, cantilenante, la voce un po’ nasale, con l’inflessione dialettale di chi è costretto all’italiano per farsi intendere fuori dai suoi luoghi. Un’emigrante interna, quindi, diciamo dal Polesine fino a qui, nelle risaie del tempo andato, spinta dal bisogno.
Quel “Clara ti prendo la bicicletta..” lo centellinavo come vino da far rimbalzare buono in bocca, a ogni passaggio sulla lingua distinguevo e gustavo qualche elemento nuovo. Non più di diciott’anni, i più vissuti faticando; eppure “…vado alla balera” diceva, con un’intatta frenesia di vita. E i denti erano saldi, buono il loro smalto, che le parole rimbalzandovi acquistavano una sonorità particolare, un tintinnio aggiunto ad ogni sillaba, e poi quella specie di eco, come una doppia voce, merito forse di un palato alto, quasi ogivale, la risonanza mistica di una minima cattedrale gotica.
Clara non aveva risposto, probabilmente era crollata nel sonno secco di una stanchezza disumana. Lei no, lei, la voce che avevo battezzato Caterina, lei, Caterina, avrebbe vinto la fatica accumulata nelle tante ore china a strappare erbacce per fare bello il riso.
Caterina, che avrebbe ballato scalza sul palchetto, già pedalava sullo stradone senza luna. Io, comodo in poltrona, la seguivo a colpi d’alcool, che avevo ingollato con un’ostinazione ascetica fino a vederla davvero pedalare.
L’orchestrina di campagna, tre suonatori appena, mantenuti a fiaschi di rosso e salami di cascina, la fisarmonica, il violino, il clarinetto, una pena sentirli con l’orecchio di adesso, ma l’immaginavo allora, al tempo del poco e del prezioso. Le stecche, gli sfiati, i cedimenti sarebbero scivolati via assieme alle note giuste. Era già tanto avere le due ore di musica e allegria. E lei, le zoccole un impiccio, le scarpe un sogno, volteggiava scalza sulla pista. Walzer, mazurche, i passi un pressappoco divertito, la gonna a balze a metà polpaccio, il sorriso sempre acceso, ormai lo conoscevo bene il bianco dei suoi denti, il cuore che libero bruciava tra le braccia di cavalieri dalla rozzezza mite e dai muscoli sinceri.
Ogni ballo un ragazzotto differente. Caterina tastava i bicipiti contratti sotto la camicia di flanella, sfiorava con la guancia le barbe ruvide e i baffetti accattivanti, scrutava occhi di brace e sguardi di promessa. Uno stordimento il ballo vorticoso, struggente quello lento. Non era il ballo, però, che la eccitava, ma l’idea del dopo, del forse e del chissà, che non poche volte lei finiva la serata tra la paglia del fienile, pretendendo e dando in egual misura.
Il ballo era il contatto con l’uomo, era la prova, il brivido, l’aspettativa, era il sentirsi donna al momento della scelta. Certe volte era uno sguardo in equilibrio tra spavalderia e rispetto a guidarla nella preferenza, altre volte un odore rassicurante di tabacco e di sudore, ancora altre l’agilità imprevista di un corpo massiccio nei passi della polka, o ancora il modo dolce e maschio con cui qualcuno bisbigliava il suo nome, Caterina, oh, Caterina.
Erano amori di una sera, piccole terre strappate al mare, dove i loro corpi sarebbero morti in gemiti veloci, il buio e la musica lontana a far più bello l’attimo.
Il tempo di un saluto onesto, intenso ma privo di promesse, e Caterina già pedalava sullo stradone senza luna. Poche ore all’alba e poi di nuovo la risaia.
Dalla prima frase all’ultima ho avvertito come la sensazione di leggere la sceneggiatura di un film di Pupi Avati. Regali immagini vive.
oh, Pupi Avati, sì, sarebbe perfetto per dare immagini alle parole!
grazie Germo
ml
C’era un tempo dell’amore allegro, senza fronzoli e senza aspettative. Era il tempo dei nostri nonni, quello del dopoguerra, e dell’amore regalato che serviva a sconfiggere la paura, la solitudine, la povertà. A tenere ben chiusi, dentro il baule di casa, gli orrori appena vissuti.
Adesso non abbiamo orrori da seppellire, almeno non così evidenti, e abbiamo dimenticato la gioia di donarci.
C’è odore di ginestre in questo post e che dirti… vorrei che qualcuno mi invitasse a ballare!
grazie rosso (che bello chiamare una donna con un aggettivo maschile!) questo brano e il tuo commento sono nostalgia per un’epoca che non abbiamo vissuto, epoca dura dove però ogni cosa aveva un peso, un valore.
ciao
ml
Oh, ml! Tutto è così vero, così vivido, così vivo nel tuo “farneticare”.
Mi hai aperta ad un mondo a me sconosciuto.
Lì ho vissuto tra l’odore di sano sudore, d’ acqua e sapone, di un po’ di profumo di poco prezzo, di brillantina, mentre ti leggevo con passione.
Mi hai fatto sentire lo stordimento e la struggenza del ballare, come viene d’istinto, scalza, su una pedana di legno ruvido, con il sorriso acceso negli occhi e sulle labbra, le note stonate suonate da un’orchestrina, l’eccitazione dell’appoggiare il corpo di ragazza ad uno di maschio, sconosciuto, la frenesia dell’aspettare il dopo per poter anche aver e donare piacere.
Con il piacere schietto, pulito, gioioso dell’ amore di una sera, nel fieno, solo pelle a pelle, Caterina festeggia la vita. Lei celebra la sua ribellione al duro lavoro, omaggia la sua gioventù così.
Con la sua incontenibile voglia di avere musica, allegria e gemiti di piacere, anche se brevi, sconfigge la grande fatica del suo lavoro, la sua vita aspra.
Riprende la bicicletta Caterina e pedala per poter dormire poche ore prima del nuovo giorno di fatica.
.
E ho udito il suono di quella pronuncia particolare, di quella voce così musicale, giovane, colma della voglia dei suoi diciott’anni, come l’ha descritta l’io narrante, partecipe di ogni dettaglio, “a colpi d’alcool”, sì, con un’ostinazione “spirituale.
“e forse era da un’altra epoca.”
Sì.Lo era.Sì.
Quello era il “tempo del poco e del prezioso.”
Ora non esistono più l’onestà, la semplicità, l’autenticità, la naturalezza e la grande forza di Caterina.
Lei splendeva nel suo ballare ardente prima e nel fieno poi, anche se la luna non c’era, nelle sue notti d’amore senza pretese.
Grazie, ml. Grazie.
Un sorriso
gb
gb, lasciamelo dire, una così per qualcuno sarebbe una “piccola troia”, per me è un piccolo fiore, tenace, sul campo aspro della vita.
grazie davvero per l’intensità delle tue parole
ml
Bellissima la tua descrizione visiva della voce, cui doni un’interpretazione che rasenta il mistico. Scelgo questo particolare che mi ha colpita, ma tutto il racconto ha grande valore.
Un abbraccio!
Bak, da parte di chi è “la voce nascosta” questo apprezzamento vale doppio!
grazie
ti abbraccio
ml
Bella voce!
sì, era davvero bella quella voce squillante, canterina, che mi ha fatto volare con la fantasia 🙂
ciao marta
grazie
ml
Cantate così, Clara, Caterina, non moriranno mai. Il tuo scrivere mi commuove.
oh, ti ringrazio mite-Dora
ml
Caterina piccolo fiore che ama la vita e ne succhia il succo sono belli il suo sudore, i suoi battiti, la sua grinta, il suo lasciarsi andare. La vita traspare anche così, in questi piccoli squarci di gioia che ci sono tra i doveri della vita stessa.
Grazie per avermi fatto vivere momenti di leggerezza. Un sorriso, Lila
Grazie a te per il sentito apprezzamento
Ciao Lila
ml
Beh, come non potevo apprezzare? 😉
Passare di qua e leggerti è sempre un’emozione.
ciao pennetta,
è un piacere il tuo passaggio
ml
Complimenti!
hai saputo rendere una figura di ragazza, che esce fuori dagli schemi convenzionali e moralmente approvati, tenera, gioiosa e amata anche da noi lettrici! Caterina che beve la vita con allegria, con passione, con emozione.
Complimenti.
Marirò
ops…scusa la ripetizione,
ma…
un complimento-bis il racconto in fondo lo richiede 🙂
sì, Marirò, Caterina è come dici, allegra, appassionata, si beve il bello della vita, oltre a doverne trangugiare l’amaro.
ciao, e grazie del complimento bis
🙂
ml
ciao mago massimo. ancora un bel racconto dal tuo cilindro. la sera, la bicicletta, il vino, il ballo, l’amore.
Pablo
grazie Pablo
ml
mi piacciono i racconti che sanno di altri tempi, di altre donne…
bello!
fantasticare di altri tempi è un modo indiretto per raccontare anche il presente, che donne come Caterina ce ne sono ancora.
ciao
ml
Leggo un’altro inno alla vita qui oggi, mi sto viziando così!
Trasmetti emozioni e sensazioni con grande semplicità ed immediatezza, mi inchino alla tua bravura e sensibilità.
La
Ohh, ti ringrazio molto!
ml
Adoro le storie di questi “fiori d’acciaio” (prendo in prestito il titolo di un film), perché mi trasmettono sempre tanta forza. La pasta con cui erano fatte alcune donne del dopoguerra non è più in uso. Io conservo gelosamente il ricordo di racconti e sguardi fieri di alcune di queste, che ho avuto la fortuna di conoscere. Queste storie mi insegnano ad apprezzare il fatto di essere viva e in salute, e a gioirne tanto da dimenticare tutto il resto…
Il post è scritto meravigliosamente.
E a me piace che tu apprezzi proprio questo brano
Ciao Arlecchina
ml