Di questa mamma non conosco il nome, non ho mai pensato di chiederglielo, né ho mai avuto la tentazione di sbirciare l’anagrafica in cartella. Che si chiamasse Giuseppina o Samantah non avrebbe aggiunto nulla al fatto fondamentale che lei fosse capitata lì, nella stanza numero uno, con il suo piccolo grande carico di sofferenza, esattamente nei giorni strani di una mia pre-disposizione, sai quando sei consapevole che non aspetti altro che d’imbatterti in un fiore per stordirti al suo profumo.