Hai presente il sole una mezz’ora prima del tramonto, quando ancora non ha il fuoco triste della morte ma finalmente ha perso l’arroganza dello sguardo? Il sole che non ammazza l’ombra ma la proietta lunga e morbida come un accompagnamento?
Ecco, lui era così. Sembrava vivere perennemente in quella mezz’ora sospesa, gli occhi che guardavano lontano e intiepidivano le cose.
Potevi incontrarlo sul bordo di un campo appena falciato ad osservare un poco più distante le vigne dai sostegni in legno o fermo in riva al lago guardare l’evoluzione dello svasso sopra e sotto il pelo d’acqua. Ma lo potevi vedere anche in Piazza Grande, fuori dall’ora del passeggio, seduto a un tavolino, lo stesso volto assorto e l’occhio stretto, seguire il passo di una donna sotto i portici.
Una presenza inutile la sua, che mai scambiava una parola con la gente e con quegli occhi, anch’essi inutili, si perdeva eternamente oltre un orizzonte che trovava troppo chiuso. Eppure, avessi potuto leggere dietro lo sguardo, avresti trovato pensieri nobili e lampi ignobili, benevoli comunque, aggrovigliati attorno a un piede sfilato a forza dalla scarpa, o attorno al becco che riemerge ricco di pesce od anche alla foglia quasi accartocciata al grappolo, che non sappiamo noi quanta vita si raccolga nelle cose che noi vediamo solo di sfuggita. Non lo sappiamo noi, ma lui di certo lo sapeva e forse è stato lui, guardando l’erba rasa come un pube di ragazza e l’uva che la sfiora illuminata, forse è stato lui a dare nome al nostro vino, che erbaluce è un nome da gente acuta di campagna. E sempre lui, forse, ha battezzato coregone il pesciolino che ancora guizza nel becco dello svasso. E chissà che nome ha dato a quel piede femminile che solo lui vedeva nudo! Se solo ce l’avesse detto, se avessimo ascoltato il suo silenzio, se avessimo intuito la ricchezza che nascondeva dentro, non l’avremmo lasciato solo in una penombra d’angolo, come un oggetto arrugginito, mai stato utile.
Mi sono sempre chiesto se questi personaggi così poetici, seppure così malinconici – che nascono copiosi dalla tua penna – sono il frutto della tua fervida fantasia, oppure rappresentano l’espressione di una realtà che tu ben conosci e, quindi, altro non fai che raccontarli, così come un pittore dipinge un suo quadro osservando un paesaggio. Nell’un caso, come nell’altro, devo dire che appaiono sempre, pur nella loro estrema semplicità, come rispettosi maestri di vita, capaci di catturare l’attenzione anche delle persone più distratte e frettolose. Ciao Massimo e buona serata.
sai, remigio, sono sempre stato convinto che i veri insegnamenti di vita, piccoli modelli di comportamento o minime nicchie di bellezza possano arrivare solo dal basso, dall’inserviente che fa il suo lavoro in silenzio e un giorno ti racconta più che da un primario troppo preso da sè, dalle persone nascoste nelle pieghe della vita più che da chi ha sempre la foto sui giornali, e allora guardo, ascolto e talvolta immagino.
ti ringrazio molto,
buona giornata
ml
Ne ho conosciuta anche io di gente acuta di campagna, talvolta solo nei racconti. Gente che per battezzare i figli tirava fuori i nomi dalla mitologia fenicia o dalla gerusalemme liberata – e poi si metteva le scarpe grosse, e viveva e moriva nel campo. Quanta bellezza.
Gente strana quella di campagna, sembra si vergogni a risultare interessante.
Ciao arya,
ml
stringe il cuore il pensiero di quante umanità così ci facciamo sfuggire, nella frenesia del quotidiano. e ci priviamo di stupori preziosi…
Vero, dovremmo rallentare e guardarci intorno.
ciao gatta,
ml
Le prime righe accompagnate dalla fotografia compongono un magnifico preludio a ciò che esprimi nel seguito, delicata e umile poesia di chi osserva e tace.
Mi chiedo spesso anch’io quante riflessioni ed emozioni preziose restino inespresse al mondo, quanti silenzi non colti, quanta meraviglia perduta, e mi rattrista sempre il pensiero che tanta ricchezza passi inosservata.
L’erbaluce mi è stato consigliato, dovrò provarlo, prima o poi; lo berrò alla salute di chi vive nella penombra, come l’uomo che descrivi.
un caro abbraccio
G.
P.S. Sai, il momento della giornata che descrivi mi rimanda a un altro tuo brano, anche se quello era incentrato sul crepuscolo (mi sfugge il titolo, ricordo solo che il protagonista era Camillo)
L’Erbaluce e’ un bianco luminoso assai rinfrescante ( dovrei riempirne la borraccia per le pedalate calde)
Ognuno di noi, se dotato di un minimo di sensibilità, può avere uno sguardo salvifico su un dettaglio trascurato dal mondo.
Ciao G.
P.S. “penombra” ( e non a caso questo brano e’ nella cartella “camillo e dintorni”)
Adorabile Camillo 🙂
🙂
Date: Fri, 15 May 2015 18:58:03 +0000 To: agilulfo_@hotmail.it
Mi fai pensare a Montale e alla sua straordinaria capacità di dire tutto con poco.
perbacco, Montale!
grazie Stè
🙂
ml