Senza dubbio sono un uomo fortunato che, come spesso capita, la sua fortuna un po’ se l’è cercata e un po’ gli è piovuta addosso. Mi sarei accontentato di una baracca riscaldata pur di lavorare qui tra solitudine, luce e silenzio, mi hanno assegnato questa costruzione sull’acqua, un cilindro, anzi un prisma, di pietra che mi basta entrarci per entrare in un’altra dimensione. Le dimensioni sono minime ma non mi manca niente e ogni dettaglio mi coinvolge, le finestre a far penetrare aria frizzante e uscire sguardi intensi, il legno vecchio al pavimento su cui scalzo, le lose al tetto che pesano e il peso mio alleviano, le pietre in un esatto circolo nell’acqua.
Non so di storia né turismo ma mi dicono di un monumento in Puglia, simile ottagono di tufo, e in Francia un castelletto come questo, ingigantito, a star maestoso in acqua. Con questi due legami che posso solo immaginare, da semplice guardiano divento padrone del micro mondo che mi hanno dato in sorte. Da qui vigilo e vivo, controllo le sorgenti col binocolo che dalle rocce alte, attraverso il bosco, sciamano allegre al lago, misuro sotto di me il livello del bacino che contenga il giusto e, aprendo e chiudendo le paratie ad arte, regolo e regalo acqua adeguata all’Orco.
Ma è al crepuscolo che io rinasco, quando il sole e gli ultimi turisti se ne vanno e qui resta la luce. La luce, ancora scintillante sulle poche cime bianche, bassa e luminosa sopra il lago come un foglio di stagnola steso con cura, più materna e scura attorno ai larici. È l’ora di affacciarsi, guardare la corsa delle nuvole e il volo finale delle aquile, stare in ascolto dei minimi suoni che nascono intorno e si spandono sull’acqua, il fischio della marmotta che sempre ha motivi di allarme, lo stormire delle piante sulle rive che un poco si agitano alla sera, il salto della trota, lo stridio della civetta che avverte che la sua caccia è aperta. Ricordi la civetta? A me non fa paura, mi dicevi, i gomiti appoggiati sul minuscolo davanzale, gli occhi strizzati a cercare le sue ali tra cielo e bosco. Sembravi una bambina che fa sfoggio di coraggio, io fingevo di proteggerti cingendoti alle spalle. Quella era la nostra ora che tu chiamavi della conciliazione, anche se mai avevamo da riconciliarci da alcuna lite. Forse non ti riferivi a noi ma alla natura, che a quell’ora come per incanto eravamo aperti ad assorbirla tutta, mescolare il dentro e il fuori, essere parte, essere tutt’uno, come quando all’improvviso ci si accorge di respirare a pieni polmoni, respirare all’unisono. Ti prendevo sulla branda troppo piccola e tu mi sussurravi spalanca le finestre, ti voglio vento.
Ogni sera c’era tra noi un gioco differente, piccole sfide, sintonie essenziali, chi resisteva più a lungo con un piede immerso nell’acqua gelida aggrappati alla scaletta, i sassi, anche gli sputi a volte, lasciati cadere da due finestre vicine a vedere il sovrapporsi dei cerchi, guardarci da fuori, tutti sporti e irraggiungibili, e ritrovarci tanto vicini dentro.
E ogni sera, adesso, costruisco difficili ricordi di quel tempo senza tempo, rinverdisco quelli già consolidati, altri ne aggiungo secondo l’estro che respiro all’aria. Modellarti nel passato come fosse il mio futuro.
Che meraviglia sarebbe la mia vita se tu fossi salita fin quassù.
Se tu esistessi veramente.
saper guardare e non soltanto vedere, cogliere con tutti i sensi la valle in tutti i suoi particolari, animali, vegetali o minerali.
E, su questa base, dare libero sfogo alla fantasia. Evocativo.
un piccolo appunto: quel “entrarci … “entrare” quasi all’inizio; ma forse è voluto
anche tu testimone degli stessi luoghi, hai potuto vedere come nasce un racconto 🙂
riguardo all’osservazione, sì è voluto (subito dopo c’è un’altra ripetizione: dimensione/dimensioni). risultato forse discutibile ma voluto, per dire che il protagonista è un’anima semplice dal lessico limitato (ma a suo modo poetico).
ciao Dona,
io
Commovente…
ti ringrazio.
ml
“L’ora della conciliazione” è un’ora stupenda. Mi viene da osservare che, citando, nessuno si salva da solo. Nemmeno lui…
nessuno si salva da solo, lui ancor meno, ma forse ha trovato una dimensione tra realtà e sogno che lo mantiene in un limbo di sopravvivenza.
ml
(nota a parte: amo le letture incrociate che proprio per la la loro casuale contemporaneità escludono il do ut des)
Già! Ma il caso non esiste…esistono fatti sincroni che non spieghiamo. (Credo io)
d’accordo con te 🙂
Date: Sat, 1 Aug 2015 16:28:59 +0000 To: agilulfo_@hotmail.it
😊 buono a sapersi
Sorrido anch’io
Date: Sat, 1 Aug 2015 16:34:07 +0000
To: agilulfo_@hotmail.it
guardiano di un sogno 🙂
perfetto!
ciao rodix,
ml
Ehi … ma io l’Orco lo conosco!! 😉 Buffo ritrovarlo qui, per me ha un significato tutto suo, ma ben si sposa con la delicatezza di questo tuo racconto. “Ti voglio vento” … brividi!
Grazie.
l’Orco nell’alta valle è un torrente strepitoso, tutto massi, pozze e cascatelle 🙂
grazie a te Claire,
ciao,
ml
A caldissimo.
Il guardiano del suo sogno, oh sì, anche.
Grazie.
gb
Quanto c’è in questo tuo scritto bello, oh sì!
Io, poi, ho una passione per i torrenti e l’Orco, Eva d’òr in canavesano, è straordinario, sì
Non conosco il canavesano, tranne poche parole, mi fido della tua traduzione 🙂
Grazie gb,
un sorriso
ml
Le informazioni sul torrente Orco sono state prese qui da me
https://it.wikipedia.org/wiki/Orco_(torrente) 🙂
Ho tutto in me quello che ho colto.
Come ti ri_trovo, ml, in questo tuo scritto.
Un sorriso vero per te
gb
Ah, ecco, mi sfuggiva un passaggio ( non avevo associato Eva all’acqua!)
Grazie gb, ciao
Date: Mon, 3 Aug 2015 23:11:54 +0000 To: agilulfo_@hotmail.it
🙂
gb
“Modellarti nel passato come fosse il mio futuro.”
“Se tu esistessi veramente”
Oh, ml.
un sorriso a te
Date: Tue, 4 Aug 2015 09:17:54 +0000 To: agilulfo_@hotmail.it
La voce di lei, quelle poche parole scritte in corsivo, unite insieme, sono già un racconto.
Le sue parole, reali o inventate da lui, danno un senso alla sua follia.
Ciao Ste’,
ml
Gran belle cose, sempre… E’ un piacere rinnovato, leggerti. E se poi non se ne può più fare a meno? Eh…
grazie Berenice, è un piacere avere lettrici così 🙂
ml