Ci sono cose che solo se sei solo puoi apprezzare per intero, soprattutto in bicicletta. Gioco, incanto e immaginazione non sopravvivono nel gruppo, troppe le parole, troppe le ciarle per i dettagli tecnici che non sai, troppe le sfide non dichiarate e per questo più feroci; ma, se pedali in solitudine, la tua testa è libera, inventa le parole, diventa foglio bianco su cui scrivere. Fantastica.
Così diventa un’aquila la poiana ignara che volteggiava per i fatti suoi. Chino la ascolti gridare la sua fame minacciosa e per un istante almeno ti senti agnello impreparato al sacrificio. Sembrano lacrime le tue gocce di sudore e la fatica si fa affanno nella fretta di un riparo. Là, oltre il tornante, forse è la salvezza, come quel pino per l’agnello. La pedalata stracca diventa fuga furiosa ma quasi immobile, irrimediabilmente comica, che la salita è dura e le gambe insufficienti per lo scatto. Ma proprio la finzione di quel crederti in pericolo, quel giocare al gatto e al topo, che dopo gli otto anni è segno di demenza, ti spingono più avanti. La paura che ti ghiaccia, il sole che ti spacca, il caldo e il freddo nello stesso istante, curva dopo curva senza saperlo sali.
In fondo, l’immaginazione è una carota sventolata davanti al muso del cavallo che con più forza tirerà il suo carro. E più deciso tu pedali, per qualche tratto almeno, con lo spauracchio del rapace.
Ma le salite non finiscono mai, peggio degli esami. Esami che non puoi rinviare a settembre: ora o mai più, e ti vien da urlare “mai più”, che ti attanaglia una voglia pazza di rinuncia.
Intanto l’aquila è volata oltre il crinale, stufa di artigliarti il culo per spingerti più in alto.
La stanchezza morde i muscoli, t’annebbia gli occhi e t’intossica la mente. Come ultima risorsa compaiono pensieri esasperati, reali e inverosimili, che domani avrai già dimenticato: senza volerlo immagini una carota più sensuale.
La chiameremo Greta, la cameriera senza nome che timida ha servito ieri sera a tavola e che ora mezza nuda ti balugina davanti agli occhi. Greta ha uno sguardo indulgente sul tuo aspetto sfatto da ciclista e pelle liscia come asfalto levigato. Aspetta solo che tu salga fino in cima con la danza cadenzata sui pedali, lei stessa danza, ondeggiando appena, lì davanti alla tua ruota, in attesa del tuo abbraccio. Ha seni di collina e curve ampie, adatte alla discesa. Con un sorriso malandrino t’invita alla fatica dell’ultimo chilometro, “poi sarò la tua discesa” ti promette e tu sai che sarà vero: ogni curva che disegnerai da ciglio a ciglio sarà il suo culo o un fianco o un seno. E scalpiti sfinito, che finisca la salita. Mentre pensi a queste e a quelle curve, raggiungi il passo irraggiungibile e poi scollini, quasi senz’accorgerti che non stai più pestando sui pedali.
Inizia con l’inerzia di una biglia di metallo la discesa. E scopri l’eleganza di lasciarti scivolare sulle ruote e sulla pelle, di quell’andare senza sforzo, finalmente.
È uno sfiorare i fianchi alla montagna e ritrovare Greta in ogni curva.
Il primo approccio è dolce, un’armonia di gesti attenti che si consuma come una conoscenza lenta. Così le prime curve le osservi con incanto e le rispetti, come una pelle inaspettatamente offerta e come pelle le accarezzi delicato, quasi timoroso di andare troppo oltre.
Poi subentra la confidenza e la fiducia nei tuoi mezzi.
Diventi baldanzoso, scegli l’azzardo che t’inebria, l’agilità animale dei movimenti lesti ed armoniosi. Strapazzi Greta e la sua pelle imperlata dalle prime gocce di sudore che forse sono pioggia sull’asfalto e aggredisci le sue forme che vorrebbero più cura.
Ma proprio ora che la discesa si fa dura, ti dimentichi della cameriera senza nome, il sogno che ti ha aiutato a superare la salita. Adesso hai in mente solo lei, la strada che si snoda e che si svela meglio di una donna. Perché la discesa è sesso estremo, privo di sogni e di metafore, è il gioco adulto e idiota del rischio senza scampo, è la follia per gente che diversamente sarebbe troppo seria.
Ti tuffi a capofitto, mille metri sotto, a bruciare in pochi attimi le ore di fatica, mentre vorresti non finisse mai questo precipitare a valle che esalta ed impaurisce.
Ed alla fine arriva la pianura.
Riprendi la pedalata tonda e lentamente torni a casa.
Wow, son senza fiato 🙂
hai fatto anche tu la salita? 🙂
Leggendo il tuo felice post sembra di farla la salita e tutto il resto 😉
gentile a sudare con me, condividendo il resto 🙂
Date: Sun, 8 Nov 2015 13:25:29 +0000 To: agilulfo_@hotmail.it
Ecco la tua danza d’amore con il tuo pedalare la bicicletta, una danza colma di così tanto di contrastante anche.
A caldissimo.
Bella pagina di farneticaio che scorre veloce e che indugia.
Ti sorrido, ml
gb
sì, una danza sui pedali di pensieri in libertà, anche in contrasto uno con l’altro, chè la mente quando vaga non si pone problemi di logica.
grazie gb,
ml
(i tuoi commenti a caldo sono i migliori:))
sono i meno filtrati
ci sono tutta io nei miei commenti a caldo
un abbraccio, ml
gb
grazie a te
un sorriso
Date: Sat, 7 Nov 2015 13:16:58 +0000 To: agilulfo_@hotmail.it
Bella riflessione. La solitudine e’ una condizione che appartiene solo ai saggi. Ed ai ciclisti, naturalmente. 🙂
Grazie, Remigio, se non son saggio almeno sono ciclista 🙂
ml
Io, che sono una runner, non ho un corrispondente maschile della tua Greta a spronarmi. Ho combinazioni di numeri e di parole che mi guidano alla meta. Numeri solo miei, parole solo mie, come nella tua solitudine.
E comunque, mi ci ritrovo.
C’e’ un filo comune nella fatica bella e solitaria, che siano numeri, aquile o Grete, qualcosa unisce.
Ciao Ste (per l’occasione vedo piedi da runner nell’avatar:))
ml
Ho deciso di abbandonare lo sguardo basso…e ricominciare dai piedi 😉
i piedi scalzi sono occhi nudi sulla terra 🙂
Date: Sat, 7 Nov 2015 17:33:20 +0000 To: agilulfo_@hotmail.it
E’ dalla terra che provo a ripartire. 🙂
🙂
Date: Sun, 8 Nov 2015 13:31:10 +0000 To: agilulfo_@hotmail.it
La solitudine del ciclista è simile a quella del lettore.
Pedalare è come leggere. Si fa per se stessi. Per ritrovarsi o per perdersi.
mi piace il parallelo che proponi.
in un libro ci si isola, ci si tuffa tra le pagine come in una discesa da vertigine 🙂
ml
Condivido il parallelo proposto da mia euridice.
In entrambi i casi si dà vita e movimento e fiato ai pensieri.
Pedalando si lasciano andare le fantasie, si lascia andare a piede&pedale libero la creatività.
Leggendo si lasciano le finestre aperte alla vista di nuovi orizzonti, di inaspettate riflessioni, suggerite dalla pagina o, anche, da un singolo passaggio della scrittura.
e allora pedaliamo/leggiamo con fantasia e passione 🙂
Ciao,
ml