
Quando nacque il primo figlio, se lo tenne in braccio un tempo lunghissimo. Passeggiava per la stanza fissandolo negli occhi, senza però cullarlo. Qualcosa non andava in quella faccina troppo tonda, in quella lingua che sporgeva tra le labbra, in quegli occhi così distanti e stranamente stirati verso l’esterno. Restituendo Davide all’infermiera disse, più che domandare, Non ci siamo, aggiungendo dopo qualche istante un vero? che s’apriva a un’esile speranza. Ma dall’espressione imbarazzata di lei, Arturo comprese di non essersi sbagliato.
La parola oscena gli affiorò alle labbra quasi involontariamente, come fosse stata sempre lì, in attesa dell’inevitabile pareggio alla fortuna avuta fino a quel momento.
Mongolo!
Sindrome di Down, lo corresse il medico chiamato a ufficializzare il danno.