
dal web
È il colore a volte che fa la differenza, nel mio caso una differenza abissale.
Avrei voluto essere arancione, mi sono ritrovato blu.
Pensare che una dozzina d’anni fa al corso teorico-pratico organizzato dall’ASL per selezionare chi fra i propri autisti avrebbe guidato le ambulanze del 118, ero stato tra i migliori, alzavo la mano come a scuola e snocciolavo senza errori la successione delle manovre del log-roll, sapevo dire quando e come si doveva usare il cucchiaio e quando la spinale, conoscevo a memoria procedure d’intervento e protocolli di chiamata. Quello era stato un periodo esaltante, di giorno il solito lavoro, alla sera uno studio accanito, di notte il sogno sempre uguale e sempre bello, sfrecciavo per le strade a sirene spiegate, fendevo il traffico come Mosè le acque del MarRosso, portavo l’equipaggio sul luogo del disastro, collaboravo nel soccorso dei feriti, l’arancione fluorescente del giaccone d’ordinanza un lasciapassare tra la folla dei curiosi. Tutto faceva pensare che sarebbe andata proprio così, ma poi all’esame mi ha fregato l’emotività.
L’istruttore mostrandomi il manichino riverso sul pavimento mi disse Guglielmetti, fai conto che sia un ragazzino di dodici anni coinvolto in un incidente: apparentemente non è cosciente, forse nemmeno respira, datti da fare.
A sentire quelle parole non ho più visto davanti a me un bambolotto di plastica ma un volto insanguinato e ho perso la testa, Cristosanto è poco più di un bambino. Mi sono chinato su di lui e anziché iniziare le manovre di soccorso che pure sapevo a menadito l’ho preso tra le braccia, un bambino vero, irrimediabilmente morto, tra le mie braccia, un bambino da lavargli il viso con le lacrime, piangevo sì, e lo cullavo mentre l’istruttore sbraitava Guglielmetti ma che fai? Sbrigati, sta per morire, Guglielmetti dacci dentro con la rianimazione, forza! Salvalo! No, è inutile, non ce la può fare, non ce la posso fare, è morto, povero ragazzino, morto senza nemmeno un nome. L’unica cosa che m’importava era tenerlo stretto, lì inginocchiato su un pavimento che credevo asfalto tra rottami e resti umani, essergli vicino nel passaggio, accompagnarlo dove…non lo so dove vanno a morire i morti.
Un dolore mai provato!
Non salverai mai nessuno, Guglielmetti. Il mio istruttore gridava, io nemmeno lo sentivo, ero in un altro mondo.
Mi dovettero staccare a forza dal manichino.
Del mio passaggio al 118 non se ne parlò mai più.
Mi assegnarono un furgoncino, che di recente hanno sostituito con uno appena più moderno, ma niente lampeggianti nè sirene, e una divisa orrenda, giubbino blu con stampigliata una croce rossa subito sbiadita e pantaloni della stessa tinta con al fondo una striscia catarifrangente bianca. Ai piedi non gli scarponcini in goretex di cui sono forniti gli “arancioni”, no, per le scarpe arrangiati, così una volta mettevo mocassini marroni o sandali d’estate, ora delle vecchie Superga che ho ritrovato in casa.
Così conciato, che sembro una caricatura del soccorso, batto la provincia in lungo e in largo a portare campioni di piscio e sangue da un laboratorio all’altro e anziani dalle case di riposo all’ospedale per esami, ma solo se non stanno male, sai Gu non vorremmo che ti emozionassi un’altra volta se li dovessi rianimare, e una risata cattiva a chiudere il discorso.
Dodici anni che faccio ‘sto mestiere, una dozzina d’anni lunga come un giorno solo, talmente è sempre uguale quello che faccio. E quel che è peggio non è il lavoro ma la pausa in mensa dove vorrei mangiare da solo e invece c’è sempre qualcuno degli equipaggi del pronto intervento che si siede e sfotte, e anche se non sfotte mi basta vederlo tutto in ghingheri, lo zaino rosso delle emergenze accanto alla sedia, il cellulare collegato alla centrale appoggiato sul tavolo, la chiamata a inizio pasto e lui che scatta, bello e sicuro come un guerriero, lascia il vassoio quasi intatto, beato te che puoi mangiare tranquillo dice con aria superiore e subito corre a salvar la gente. Mi basta questo per sentirmi la mezza merda che sono diventato.
Non salverò mai nessuno, io.
E poi magari anche a me interrompono il pasto, Guglielmetti, vai a prendere il signor Lacchia di Caluso e portalo alla dialisi. Provo a obbiettare che c’è tutto il tempo: senti, finisco di mangiare e vado; No, gracchia il mio dio severo nella ricetrasmittente, ci vai subito che questo già una volta si è lamentato di te, sei arrivato all’ultimo momento e dopo andavi troppo forte in macchina e lo sballottavi di qui e di là.
Ok, vado, non discuto, vado.
Lacchia è una serpe d’uomo. D’accordo ha i suoi malanni, la dialisi non è una passeggiata, ma lui ce l’ha col mondo intero e con me in particolare perché lo porto dove non vorrebbe andare. Lo carico, lui e la carrozzina (potrebbe camminare, certo, ma il viaggio verso l’ospedale pretende di farlo sulla sedia a rotella) utilizzando l’elevatore elettrico del mio CuboFiat e da quel momento il signor Lacchia troneggia sul pianale posteriore, diventa il mio tiranno grigio, mi rimbrotta per ogni cosa, la guida, il traffico, il riscaldamento eccessivo o troppo basso, mi tiene il fiato sul collo, sbraita e sputacchia saliva, certe volte mi minaccia pure con l’inseparabile bastone, e diventa un calvario il viaggio. Ci vuole tutta la mia pazienza a sopportarlo e quell’ora che passo con lui mi segna la giornata. Dopo non c’è sorriso di altri miei clienti che compensi l’umore rovinato.
Questo mestiere mi regala poche soddisfazioni e allora retrocedo a minime ambizioni, divento consapevole del poco margine possibile di miglioramento, cerco di lavorare in fretta per ritagliarmi piccoli momenti di consolazione tra un servizio e l’altro, una sosta al bar, qualche sguardo rubato in giro, due parole con la Piera mentre le consegno le provette per le analisi e lei mi firma la ricevuta, il seno che straripa nel camice attillato e quel sorriso un po’ sciupato che invita all’ammicco e alla battuta sconcia alla quale non rinuncio (eh Piera, sempre col vento in poppa e le poppe al vento).
E quando mi capita di andare verso sud a consegnare materiale alla Sorim mi fermo tra le risaie a osservare il bianco degli aironi. Quanta eleganza quando camminano flemmatici nell’acqua bassa. Li guardo contorcersi con grazia per nettarsi con il becco le piume al sottocoda e mi sembra di vedere le mondine ancora chine sulle erbacce. Ascolto il loro canto e m’incanto ai loro corpi curvi che dovevano a quel tempo essere belli. Non salverò mai nessuno, io, ma almeno lasciatemi sognare la bellezza.
Ogni passero vorrebbe esser aquila, molti non riescono a riconoscere la propria importanza e questo distrugge le migliori qualità che posseggono.
..e Guglielmetti era proprio un passerotto dal volo incerto
Grazie Giuliana delle tue parole
ml
🤗
🙂
Molto blo questo racconto.. Tenero e amaro
in effetti scrivendo ho provato molta empatia per il fallimento di quest’uomo.
grazie Nadia, però mi sfugge cosa sia un racconto “blo”
🙂
ml
ahahaha bello!!! ero col cellulare…mannaggia
ahahah e io che credevo fosse un termine altamente tecnico, per pochi addetti.
🙂
va là! non prendermi in giro!
..mica tanto eheh
Questo oscuro e silenzioso lavoro è una forma di carità cui nessuno fa caso, nemmeno il Guglielmetti. Che si commuove per il manichino di un bimbo, per le poppe della Piera e per gli aironi bianchi. La sua delicatezza è così grande che si maschera da miserabile mentre sa che sta salvando minuscoli istanti, tristi solitudini, vita… (sono positiva di solito, vero?)
ricevere un commento come il tuo è il massimo risultato a cui potevo ambire.
non solo condividi quanto ho scritto, tu mi chiarisci qualche senso che mi era nebuloso.
parole come carità, delicatezza e miserabile sono frecce che vanno al centro del bersaglio.
quanto a “salvando minuscoli istanti” pensa che ero stato tentato di usare proprio quel verbo nel finale del brano, poi ho temuto che fosse eccessivo.
ti sono davvero riconoscente, “luci”, sappilo.
un sorriso e un grazie
ml
E io sono riconoscente a te. Per il tuo cuore che trapela sempre. La vita non ha corrotto lo sguardo buono, e questo è un dono per te e per gli altri.
troppo buona 🙂
ti abbraccio
Il signor Lacchia senza dialisi morirebbe. Ha salvato il signor Lacchia. E chi salva una persona salva il mondo intero.
giusto! mi piace la tua posizione positiva
Guglielmetti ha contribuito alla salvezza del signor Lacchia e dovrebbe esserne contento
grazie
ml
La prima parte: una commozione da serrare la gola e rendere gli occhi umidi.
Il resto mi ha fatto riflettere: Guglielmetti non riesce a capacitarsi di non essere un “eroe”, ma lo è lo stesso, tutti i santi giorni, con un servizio forse meno appariscente ma molto utile e la sua pazienza è ammirevole e, nonostante tutto, non si è abbruttito, anzi, riesce ancora a “vedere” la bellezza.
in fondo Guglielmetti proprio in quello che lui considera il suo peggior fallimento, la bocciatura all’esame di soccorso, mostra la sua parte più nobile, quel sentire particolare che non lo rende adatto a “fare l’eroe” ma che lo ha reso un uomo migliore, capace di cogliere la bellezza.
ti sono grato per la commozione con cui hai letto.
ciao Neda 🙂
ml
Buona domenica.
anche a te
Mah, ho le 42 ore e faccio Ts ogni tanto, quando il collega che lavora come volontario da 40 anni, mi chiama. E mi sento sempre utile e sono sempre contenta di dare, aiutare con semplicità e ringrazio, senza aver salvato nessuno e sentenza la necessità di sentirmi un’eroina.
Lavorare con persone come quella con cui lavoro, e sono onorata di farlo, persone che ne hanno salvate di persone in 40 anni, ti fa osservare ( e imparare) come essere davvero al servizio del prossimo insegni l’umiltà. Quella vera , luminosa, ricca di accoglienza, senza ego ingombranti e soffocanti. Io non posso che ringraziare.
Comunque con quest’epidemia c’è un gran bisogno di persone, senza strumenti diagnostici adatti, per ora ( espero li troveranno presto, misurare la febbre non basta).
p.s. anch’io ho fatto fuori il manichino la prima volta!!!🤣🤣🤣
infatti Guglielmetti aveva una visione distorta del soccorso, più occasione di piccola gloria personale che di vero aiuto al prossimo.
e in qualche modo si è riabilitato proprio fallendo.
grazie Aua per le tue parole
ml
(eheh, i manichini sono tremendi con le persone sensibili!)
🥰🥰🤗🤗🤗🤗🤗
🙂
Ma grazie a te per come le hai accolte!❣️
meritavano.
🙂
un bel racconto di un inguaribile sognatore del bello. Non salverà nessuno ma alla fine è più umano lui di tanti salvatori.
sì, la penso come te. E ho voluto vedere nel fallimento un motivo di ritrovata umanità.
grazie GianPaolo
ml
e ci sei riuscito
!
grazie ancora
meraviglia di un racconto!
grazie T!
ml
Questo Guglielmetti mi ha profondamente commosso quando ha cercato di salvare il manichino!!! Quando una persona ha così tanta umanità nel cuore, non ha bosogno di grandi gesti per sentirsi eroico. Lo è già nel quotidiano, nel suo contatto con le persone che hanno bisogno del suo aiuto. Sono queste la spina dorsale del nostro Paese. Persone che fanno il proprio dovere con dedizione e tanti sogni nel cuore.
sì, gente come il Guglielmetti non sa di avere una grandiosità intima che nessun evento negativo della vita può scalfire.
grazie Vitty
ml
Le persone empatiche, quelle che non sanno gestire il dolore altrui (e il loro) non salvano nessuno. Non sono convinta che qualcuno sia da salvare. Guglielmetti del mondo, unitevi. Poi, chissà, magari non eviteranno la dipartita, ma sai quanto rendono più bella la vita?
sono d’accordo con te (però qualcuno da salvare c’è!)
e ti do il benvenuta
🙂
ml
Una narrazione molto bella e profonda che ti cattura piacevolmente. Complimenti! 🙂
ti ringrazio, mi ha fatto piacere il tuo apprezzamento.
ml