L’ho incontrato una mattina, ai primi di febbraio, quando il tempo era ancora pieno inverno, freddo, nebbia e tanto umido, e io pedalavo, più per puntiglio che per piacere, lungo l’alzaia del canale. Avevo pensieri cupi come corvi che nemmeno la bicicletta riusciva a diradare, deleterio il perfetto coincidere tra il malessere interiore e quello atmosferico.
Mi è venuto questo vezzo di tenere il pollice infilato tra indice e medio. Non saprei dire quando e come abbia cominciato, credo non da molto, ma so che ultimamente il gesto si è fatto più frequente; appena le mani sono libere da impegni ecco che il pollice si pone nel tepore delle altre due dita, come un gatto che d’istinto si rifugia nell’angolo più confortevole della casa.
Mi attira tutto ciò che curva e non conclude, il suo restare aperto, così disposto all’utopia dell’impossibile, la sua rinuncia a completare un compitino che piacerebbe solo alla maestra.
Ho in odio il tondo chiuso, la precisione scontata del compasso, la sua scolastica accademia, la costrizione del collare e la finta libertà della corona, il ticchettio dell’orologio che è cerchio perfido anche se lo chiamano quadrante per sviare l’attenzione, il “tutto incluso” dentro un circoletto che sa di venditore truffaldino, la O di Giotto, implacabile e perfetta, i circoli del bridge e quelli nautici, viziosi e chiusi, i cerchi dei divieti e i cinque cerchi d’ipocrisia olimpica, la luna esagerata quando è piena, la botte tonda quando è vuota.
Dicono che sia superficiale, Camillo, incapace di ragionare e dar ragione, dedito all’ozio più che al vizio, lo spostarsi fiacco dalla poltrona al letto, insensibile ai doveri, invisibile alla vita. Sprecato, insomma, il suo passaggio sulla terra. Ma non è così. Forse più che di terra è questione di terreno e territorio.
Questa mattina mi è arrivata la notifica di un nuovo follower e sono andato a visitare il suo blog per capire di chi si trattasse. Era un blog aperto da poco con articoli interessanti per cui sotto uno di questi ho lasciato un breve commento di condivisione. Scorrendo poi la mia posta mi sono accorto che questa autrice oltre a iscriversi da me mi aveva lasciato (prima che io comparissi da lei) 10-15 like in meno di un minuto, impensabile che avesse letto alcunché.
D’altronde non si può piacere a tutti e non tutte ci piacciono, vocali, donne, giornate. E questa è una giornata no, perché mi sono svegliato con questo pensiero della O conficcato nel cervello.
Purtroppo era successo proprio il giorno del compleanno di Gabriele, anche se erano mesi che la tensione andava sfilacciando la loro corda. Paolo aveva dimenticato di ritirare la torta e ormai la pasticceria era chiusa. Fosse stato un processo per omicidio, Mara sarebbe stata condannata con l’aggravante dei futili motivi, ma si trattava invece di sancire la fine di un amore e le separazioni, si sa, si nutrono di futili motivi.
Talvolta è poco più di un masso in mezzo a un fiume o uno scoglio tra le onde a cui è difficile aggrapparsi, in altri casi è un atollo tropicale da cui ci si stacca a stento per tornare al quotidiano. Ma ciascuno ha la sua isola solitaria in cui isolarsi, solida metafora inaccessibile agli estranei, dove trovare rifugio dalla petulanza del mondo, le voci troppo alte anche quando sono parole di tastiera, l’assalto delle offerte non richieste, le liti futili e quelle più profonde, i suoni fastidiosi, le luci che t’accecano, i trilli impertinenti.