Archivio | giugno, 2021

una donna

30 Giu
c.calati

                          

Un tempo da lupi ha tenuto lontano i bagnanti dalla spiaggia. Piove a tratti, tira un vento traverso e la temperatura è incredibilmente bassa per la stagione.

Camillo è al riparo sotto la tettoia in cannicciato di un baruccio sul limitare della sabbia e guarda la pioggerella fine cadere sul piccolo golfo. Non c’è nessuno, tranne una donna che cammina sulla battigia. È da un po’ che la osserva, a occhio nudo o attraverso il mirino della macchina fotografica,  la vede procedere sicura come avesse una meta, ma ha già raggiunto un capo del golfo e ora sta andando nella direzione opposta con la medesima andatura.

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le capre di Ephrem (r)

26 Giu
by web

                                             

Tutti nascono con qualche talento ed Ephrem scoprì presto di possederne due, del tutto inutili, il pensiero originale e la parola morbida. Che il ragazzo avesse qualche dote nessuno al villaggio se ne accorse, né quando ancora sgambettava nella polvere e giocava con i sassi, né più avanti quando a otto anni iniziò a condurre le capre al pascolo.

Giocava con i sassi e li metteva in fila, lui seduto sopra un masso a raccontare, loro, i sassi, immobili come fossero uomini in ascolto. Perché Ephrem aveva pensieri assai profondi e parole in abbondanza, una sorgente che sgorgava di continuo e limpida scorreva tra quei sassi attoniti, unico pubblico disposto allo stupore.

Un calcio di suo padre, ben dosato tra le natiche, lo distolse da quei giochi e lo proiettò nel mondo del lavoro, che si cresceva in fretta in Palestina, tra una terra troppo dura e un cielo senza sogni.

Così fu il tempo delle capre.

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la collezionista*

22 Giu
c.calati

                                               

Clelia, cinquantenne colta e crudele, capelli corti, clavicole caparbie, cosce cortesi, coltiva con candore cinici cerimoniali.

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inseguendo il fresco

19 Giu
c.calati

                                                        

I nostri laghi alpini hanno la bellezza di essere circondati dalle montagne, come piccoli mari di Liguria o un minimo Tirreno giù in Calabria. Ma qui non è la Sila o il Giogo di Toirano a far corona all’acqua, sono rilievi tozzi, spesso senza nome, a incombere a strapiombo sulla costa, senza nulla di minaccioso. Assomigliano le rocce alle dita delicate di un gigante. Fanno ombra alla strada, i monti, si riflettono nell’acqua e danno un senso di refrigerio già al solo pensiero di salire ai loro boschi. Un’ascesa scoscesa che nella semplificazione della  mente diventa un andare senza sforzo. Ma non è mai così: a piedi o sui pedali la conquista del fresco costa sudore, non c’è un motore, oltre quello del tuo corpo, che faccia per te il lavoro sporco della fatica. È il controsenso del ciclista, per non sudare più, prima devi sudare tanto e a lungo.

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un sogno a Digione

15 Giu

                                                                        

Girolamo attorno ai cinquant’anni cominciò a masticare amaro per il tempo andato e per quello che in meno gli restava. Aveva l’impressione di vivere su una catasta di tronchi messi male su cui diventava sempre più difficile mantenersi in equilibrio. Una vertigine l’età e un pericolo continuo andare avanti nella vita. Ed era proprio l’attaccamento che aveva sempre mostrato per la vita che gli faceva temere il peggio, come l’avaro che avvinghiato ai soldi pensa al ladro se qualcuno bussa alla sua porta. Lui temeva che avvenisse il crollo da un giorno all’altro e lo sognava ogni notte, uno starsene smarrito in cima al cumulo di legna fino a quel rumore sordo che preannunciava la catastrofe e che immancabilmente lo svegliava in un bagno di sudore. Si stava avvelenando la vita.

Ma quella notte il sogno si concluse in modo differente, lui si era arrampicato in cima alla pila di legna e da lì osservava i prati intorno ricchi di fiori. Mancava al sogno il clima usuale di pericolo, sostituito da un senso di sollievo sempre più preciso. A poco a poco la catasta si era assottigliata senza crolli, fino a permettergli di chinarsi su primule e violette, sfiorarne i petali, stendersi pacifico sull’erba. E per una volta il suo risveglio fu gradevole.

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il pittore di Orta

11 Giu

c.calati

                                                 

Solo dopo il pensionamento ho iniziato a interessarmi di pittura. Non che mi sia messo a frequentare mostre e pinacoteche, non ho la sensibilità nè la cultura sufficienti per apprezzare le opere d’arte. No, cercavo un interesse concreto che mi riempisse le giornate, così mi sono iscritto a dei corsi per anziani che insegnavano a dipingere.

Ho imparato qualche rudimento ma non sono certo diventato un bravo pittore, mi limito a dipingere qualche paesaggio senza riuscire ad imprimere nella tela l’impronta di quel determinato luogo. Le mie vedute mancano di personalità, come me del resto, e un lago, una montagna, non sono mai quel lago, quella montagna, né tantomeno potreste scoprire in essi un mio tratto distintivo, sapete quando si dice ecco la pennellata dell’artista!

Eppure ai mercatini o nelle fiere di paese qualche quadro lo vendo, quel che basta per concedermi brevi viaggi in cerca d’ispirazione.

È così che sono capitato ad Orta.

E non me ne sono più andato.

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la tazzina dorata

6 Giu
c

                              

Del servizio da dodici che gli aveva lasciato sua nonna,  gli erano rimaste solo tre tazzine, le altre andate perse nei traslochi, sai i buchi neri delle cose che ci sono alla partenza e che non ci sono più all’arrivo, oppure si erano rotte per disattenzione o troppo zelo, sai quando lavi e asciughi con un eccesso di fervore e quelle, più fragili di un uovo, ti si frantumano tra le dita senza un grido e tu guardi i cocci stupefatto.

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la panettiera di via Sansovino

3 Giu
c.calati

                               

Le prime restrizioni anti-covid avevano gettato Camillo in ambasce, la spesa era diventata un’impresa, code fuori dagli alimentari come nella Russia di antica memoria e, quando finalmente entravi, spesso gli scaffali erano vuoti. Il peggio era la panetteria del centro dove si era sempre servito, mai una volta che in quei tempi cupi gli riuscisse di trovare i francesini, il suo pane preferito che lui si ostinava a chiamare le francesine in ricordo di un bel nasino all’insù conosciuto a Digione una vita prima. Una volta che provò a lamentarsi della scarsità del pane, la padrona addossò la colpa alla ragazza che gestiva il loro forno, mi manda pochi francesini, i più li tiene per i suoi clienti, come se quella vipera potesse decidere di testa sua. Così Camillo scoprì che in una strada di periferia assieme al forno c’era un’altra rivendita meno affollata e forse più rifornita.

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