le capre di Ephrem (r)

26 Giu
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Tutti nascono con qualche talento ed Ephrem scoprì presto di possederne due, del tutto inutili, il pensiero originale e la parola morbida. Che il ragazzo avesse qualche dote nessuno al villaggio se ne accorse, né quando ancora sgambettava nella polvere e giocava con i sassi, né più avanti quando a otto anni iniziò a condurre le capre al pascolo.

Giocava con i sassi e li metteva in fila, lui seduto sopra un masso a raccontare, loro, i sassi, immobili come fossero uomini in ascolto. Perché Ephrem aveva pensieri assai profondi e parole in abbondanza, una sorgente che sgorgava di continuo e limpida scorreva tra quei sassi attoniti, unico pubblico disposto allo stupore.

Un calcio di suo padre, ben dosato tra le natiche, lo distolse da quei giochi e lo proiettò nel mondo del lavoro, che si cresceva in fretta in Palestina, tra una terra troppo dura e un cielo senza sogni.

Così fu il tempo delle capre.

Lui le portava lontano, fino alle rive del Giordano, dove l’erba era più ricca. Per tutto il giorno le lasciava libere di scorrazzare sulle rocce o di sguazzare a riva, fiducioso che non si sarebbero perse. Ma a loro piaceva soprattutto accovacciarsi in cerchio all’ombra degli ulivi. Belavano ogni tanto e fissavano il ragazzo con uno sguardo che qualcuno avrebbe detto stupido, ma che lui sapeva ricco d’interesse. Sembrava che le capre lo invitassero a parlare, che attendessero la voce che soave le cullasse sopra un sogno. Ephrem allora, con il sorriso a fior di labbra, esponeva le sue idee sull’armonia del mondo e sulla necessità di un unico Dio che stesse sulla terra e non nascosto tra le nuvole. Che ognuno lo pregasse a modo suo, … ma il dio invocato da voi capre deve essere per forza il mio medesimo Yavet.

Non che le bestie arrivassero a comprendere tutto, ma certo percepivano un coinvolgimento misterioso, una comunanza di ideali che le inteneriva. E qualcuna formulò in silenzio il concetto di comunione universale. Quanto all’armonia del mondo era facile per loro da capire, se solo la limitavano al proprio mondo minimo, perché armonia era ciò che vivevano ogni giorno.

La fama di Ephrem, ormai giovane uomo, si diffuse come l’olio di un otre versato sopra un tavolo. Non c’era capra in Galilea che non sognasse di arrivare alle rive del Giordano per ascoltare le sue parole che davano refrigerio più del fiume. E molte abbandonavano gli ovili per unirsi a quella schiera a quattro zampe.

Ma rovesciare l’olio, sprecarlo sulla terra, da sempre porta con sé disgrazie. Non c’era uomo nei villaggi della Palestina che non maledicesse il ragazzo delle capre, colpevole d’ingrossare il proprio gregge a spese loro. Lo minacciarono e lo bastonarono, ma lui cocciutamente ribatteva che le capre non appartenevano né a lui né a loro, erano libere di andare o di restare, anzi lui stesso, dopo che lo avevano ascoltato le invitava a tornare da dove erano venute. Il più inviperito era suo padre, perché non c’era giorno che Ephrem sulla strada del ritorno non si fermasse a mungere qualche suo animale davanti alle capanne dei più poveri, regalando loro una ciotola di latte ancora tiepido.

Non riuscendo a piegarlo con le botte gli uomini compatti lo denunciarono all’Autorità Romana, per furto di bestiame.

Davanti al giudice Ephrem ricorse a tutta la sua eloquenza, non già per difendersi dalle accuse, ma per ribadire i concetti a lui più cari, la pochezza dell’ordine costituito di fronte alla grandiosità dell’ordine naturale, la necessità di vivere in armonia col mondo e altre idee per nulla ortodosse che fecero sobbalzare il magistrato sullo scranno. La condanna a morte fu considerata il mezzo più semplice per salvaguardare dal contagio il resto della comunità.

Nessun uomo del villaggio assistette all’agonia di Ephrem inchiodato al legno, non il padre che voleva solo dimenticare di essergli padre, non gli altri pastori pieni di rancore e nemmeno i poveri che temevano di essere accusati assieme a lui.

Ma mentre lui moriva alcune capre belavano ai suoi piedi, glieli leccavano. Qualcuna, disperatamente piegata sulle zampe anteriori, pare che piangesse.

20 Risposte to “le capre di Ephrem (r)”

  1. Alessandro Gianesini 26 giugno 2021 a 14:29 #

    Meraviglioso! 🥺

    Grazie, Massimo

  2. vittynablog 26 giugno 2021 a 21:26 #

    Bello da piangere!!!!

  3. unallegropessimista 26 giugno 2021 a 22:56 #

    Gran bel racconto

  4. newwhitebear 27 giugno 2021 a 16:56 #

    complimenti. Veramente molto bella la favola di Gesù incarnato da Ephrem che parlava di amore e giustizia ma finì di morire come lui.
    Molto bella.

    • massimolegnani 27 giugno 2021 a 17:52 #

      ti ringrazio molto GianPaolo
      onestamente non saprei dire se era Gesù o semplicemente un povero Cristo che aveva scelto una strada difficile per dire il suo amore al mondo.
      ml

  5. Bloom2489 27 giugno 2021 a 16:59 #

    La frase del mio calendario da tavola oggi dice che la natura non è un tempio ma un’officina e che l’uomo è un operaio. Leggendo la tua storia sembra che Ephrem abbia trattato la natura come un tempio andando contro le leggi dell’uomo. Però l’idea che più mi è vicina è che lui abbia davvero trattato la natura come un’officina ma gli è andata male come a tutti quelli che hanno osato ribellarsi al tempio di scemenze messo su dall’uomo.

    • massimolegnani 27 giugno 2021 a 17:56 #

      però anche l’officina non deve essere intesa come libertà dell’uomo di usare e forzare la natura con la propria tecnologia.
      forse Ephrem nella natura non vede nè un tempio nè un’officina, ma l’unico mondo che lo ascolta.
      grazie Bloom delle tue considerazioni
      ml

      • Bloom2489 27 giugno 2021 a 23:43 #

        Ah certo officina nel senso di un posto dove lavorare, imparare e capire, fare più che celebrare
        Ciao ml 🙂

      • massimolegnani 28 giugno 2021 a 00:02 #

        allora siamo d’accordo 🙂

      • Bloom2489 28 giugno 2021 a 00:40 #

        🙂

      • massimolegnani 28 giugno 2021 a 10:23 #

        🙂

  6. Neda 28 giugno 2021 a 10:59 #

    Biblico ed evangelico…

    • massimolegnani 28 giugno 2021 a 11:29 #

      sì, ma con un risvolto “sociale” che va al di fuori del tempo e della religione
      grazie Neda
      un sorriso
      ml

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