Il ragionier Gervasio Gervasoni scese dal treno inspirando a pieni polmoni, ma non inglobò, come avrebbe desiderato, l’aria frizzante dei boschi circostanti quanto i vapori untuosi sprigionati dalla locomotiva. Tossì infastidito e si avviò verso il paese di mezza montagna dove aveva intenzione di trascorrere pochi giorni di villeggiatura, la sua prima vacanza da quando aveva iniziato a lavorare.
Girovagò senza fretta tra le viuzze del centro storico assaporando poco alla volta l’atmosfera senza tempo delle strade lastricate a ciottoli di fiume e il fascino antico di vecchie case dipinte a colori vivaci. Si era fuori stagione per cui trovò senza difficoltà alloggio presso un’affittacamere, una stanza dignitosa con le travi del soffitto a vista e arredata con pochi mobili, vecchi ma solidi. Ripose nell’armadio i due cambi che si era portato, si diede una rinfrescata nel lavabo smaltato posto in un angolo della camera e subito uscì.
Il bosco iniziava appena oltre le ultime case e lui vi si immerse percorrendo con entusiasmo sentieri ben segnati e sostando ogni tanto a una fontanella per dissetarsi o su una panchina per rifiatare, non era un gran camminatore. Tornò in paese che aveva fame. Entrò in una locanda e si sistemò nella stanza più interna, lontano dal chiasso di chi beveva un bianchetto o un digestivo al banco. L’ambiente era dominato da un grande camino, con tanto di panche al suo interno, che emanava un piacevole tepore. Gervasio cenò in solitudine, condizione per lui abituale, anche in città mangiava per lo più da solo e distrattamente, ma questa volta gustò il cibo come non era solito fare e bevve con piacere e in abbondanza il vino rosso locale.
Quando uscì dalla locanda, era scesa la sera e nelle strade poco illuminate si era adagiata una fine nebbiolina. S’incamminò con passo che credeva deciso, in realtà un poco malfermo, sicuro di ritrovare con facilità il percorso verso casa. Ma quelle vie strette, tutte uguali, risultarono un vero labirinto in cui lui procedeva per tentativi infruttuosi, non diverso da un topo da laboratorio. Per strada non incontrò anima viva e si ritrovò più volte al punto di partenza scoraggiato, quando vide, vicina a un uscio, una vecchietta che sembrava provenire da un’altra epoca, gonna di panno lunga fino ai piedi, una cuffietta bianca in testa e una gerla carica di legna sulle spalle. A lei Gervasio confessò di essersi perso. Venga con me, l’accompagno, gli disse l’anziana che si avviò lenta e sicura, senza nemmeno chiedergli dove dovesse andare.
Il ragioniere la seguì perplesso, forse la nonnina non c’era con la testa, ma dopo poche svolte che a lui sembrava di aver già fatto in precedenza, si ritrovò davanti al portone di casa della sua affittacamere.
Ma come ha fatto?, le chiese sbalordito. La vecchietta fece un sorriso sdentato, emise un eheh divertito, si strinse nello scialle e tornò sui suoi passi, scomparendo presto nella nebbia.
Gervasio si lasciò cadere esausto sul letto e forse si assopì, ma poco più tardi proruppe in una fragorosa risata. Rideva di sé stesso, lui sempre così preciso e razionale si era perso come un bambino e come un bambino si era lasciato stregare dall’atmosfera magica del paese, senza provare a dare all’accaduto spiegazioni logiche. Sì, la villeggiatura era iniziata nel migliore dei modi, rise di nuovo e si addormentò.
Un bel racconto dal respiro tenero.
ti ringrazio.
ciao guisito
ml
Mi fa un po’ tenerezza Gervasio e un po’ l’invidio: mi sembra una bella villeggiatura la sua, anche se io preferisco il mare. Dell’unico mio soggiorno in montagna ricordo solo ragni giganti e il grillotalpa.
Ciao,
R.
strani ricordi i tuoi per un unico soggiorno in montagna 🙂
ciao Riccio
ml
Il grillotalpa non me lo toglierò mai più dalla testa!
È sempre piuttosto coinvolgente leggere i tuoi racconti, bravo sai come catturare l’attenzione del lettore 🥀👏
grazie Giusy, mi fa piacere il complimento che mi fai.
ml
Un paese fatato che prima si prende gioco facendogli perdere l’orientamento, poi per scusarsi lo riporta alla sua stanza.
sì, anche il ragioniere, alla sua prima vacanza, ha interpretato così gli avvenimenti 🙂
buongiorno GianPaolo
ml
Buon pomeriggio Massimo.
🙂
eheh, come rovinarsi una vacanza
ottimo metodo 😀
sì 🙂
ciao
ciao
deliziosa, che atmosfere di luoghi ancora presenti nelle piccole realtà di paese
eppure surreali! buona giornata Massimo!
anche se non l’ho specificato espressamente ho immaginato che l’episodio fosse ambientato negli anni 50-60, quando le vacanze erano per pochi e la gente era meno smaliziata.
grazie Nadia, buona giornata
ml
già è vero..io andavo in colonia al mare per esempio. Ma certe osterie di piccolo paese esistono ancora credo..o forse è un mio ricordo il bianchino….
sì, esistono ancora, pochi giorni fa ho cenato in un bar-trattoria di paese che ho trasferito pari pari nel racconto 🙂
Forse è andato in spam il mio commento… questa estate stavamo in Grecia con mia moglie, e tutte le mattine una signora sola faceva colazione al nostro stesso orario.. l’ho immaginata scrittrice in cerca di quiete e ispirazione, aggirarsi tra calette e micro paesini, gustarsi i tramonti, riempire l’anima di storie da poter poi mettere su carta.. piacerebbe anche a me una parentesi da Gervasio.. e raccontandolo a mia moglie non l’ha presa esattamente bene.. ahah
però tu viaggi in lungo e in largo, Gervasio era alla sua prima vacanza 🙂
ciao Franco
ml
(il precedente commento qui non era proprio arrivato!)
Sembra un racconto di Halloween 🙂
eheh, ci potrebbe stare 🙂
ciao Bloom
ml
🙂🙂
🙂
Tutti i grandi scrittori sono ossessionati da un pensiero che ricorre nelle loro storie, per questo, per quanto diverse possano essere, spesso si dice che un autore non può fare a meno di scrivere sempre lo stesso libro. Ad una prima lettura sembrerebbe che le tue parole soffrano di quello che il nostro divenire ci porta via, rincorso dalla nostalgia del tuo sguardo che vorrebbe trattenerlo ancora un po’, un mondo cancellato dal nuovo che prepotentemente avanza, lasciandoci ricoperti da una coltre di ricordi che ci riscalda appena come il vapore dell’alito sulle mani in una notte gelida d’inverno.
Tuttavia io penso che non sia esattamente così, la tua dolorosa dicotomia tra il vecchio e il nuovo non somiglia alla ferita prodotta dal taglio netto tra passato e presente, ma è un modo di denudarci, per riuscire a mostrarci come sotto gli abiti che il tempo continua a cambiarci siamo sempre gli stessi, e forse lo scopo che ci è stato assegnato è proprio questo, cercare sotto tutte le comodità, gli agi, il benessere, gli attrezzi e le macchine che ci fanno faticare meno, la sostanza di cui siamo fatti, non tanto per ricongiungerci al nostro passato, quanto per sanare la frattura che ci rende estranei a noi stessi tra il vero e il reale, in un’autentica genuinità capace di accoglierci tutti facendoci riconoscere ognuno nell’altro la stessa essenza che impregna la vita.
è incredibile e sintonico come le considerazioni che fai nella prima parte del commento coincidano con quanto sto scrivendo in questi giorni in un brano che metterò tra breve: ciascuno di noi scrive sempre la stessa parola, che è diversa per ciascuno.
ed è vero, più che delineare una dicotomia tra presente e passato, cerco di grattare via ciò che c’è di artificioso, meccanicistico, nella vita attuale, per portare alla luce quella che dovrebbe essere l’essenza dell’uomo.
ti ringrazio molto, Keeper, buoni giorni
ml
Dovremmo farla tutti, ogni tanto, una villeggiatura come questa … e soprattutto una risata come questa. Bravo Gervasio! (e ancor più bravo il suo “ritrattista”.
Prishilla
ohh, grazie Prishilla, felice di ritrovarti qui.
un abbraccio
ml