
Una o due volte al mese mi tocca andare in trasferta in questo posto sperso tra i monti, a combattere la noia più che le malattie, che sono sempre meno quelli che si rivolgono ad un ospedale così piccolo.
Continua a leggere
Una o due volte al mese mi tocca andare in trasferta in questo posto sperso tra i monti, a combattere la noia più che le malattie, che sono sempre meno quelli che si rivolgono ad un ospedale così piccolo.
Continua a leggere
In una mattinata di lavoro di quelle caotiche che ti tolgono il fiato, dovresti essere in tre posti contemporaneamente e contemporaneamente riflettere, decidere e fare, in una mattinata così, la soave Marina dell’ambulatorio accanto (soave lo è diventata da poco, a seguito di un evento drammatico ma con sollievo finale che le ha smussato spigoli e sguardo) mi chiede un parere veloce per un suo paziente e con dolcezza irremovibile di voce cantilenante e di occhi morbidi mi stacca da una mia incombenza per “trascinarmi” nel suo studio. Io sono pediatra, lei neuropsichiatra infantile, per cui collaboriamo spesso. Di solito segue bambini con ritardi motori o con altri problemi neurologici, raramente casi psichiatrici. Quello che mi trovo davanti è appunto uno dei suoi rari casi psichiatrici, un ragazzone di 15 anni alto come me dall’aspetto fin troppo sano e una parlantina veloce, eccitata, saltabeccante di qua e di là. Mentre lui mi mostra una mano un po’ gonfia spiegandomi con un profluvio di dettagli che si è fatto male dieci giorni prima prendendo a pugni un muro, sento la madre che elenca alla dottoressa i sedativi, gli antidepressivi e i neurolettici che assume il figlio, una lista capace di arricchire da sola cinque farmacie. Così capisco che il ragazzo, Davide, dietro il sorriso aperto e i modi educati è una polveriera.
Continua a leggerec.calati
Sembrano gemelli, Daniele e Anna, un metro di cacio o poco più, stesse teste d’uovo, uguali i corpi gonfi. Arrivano in reparto indossando la mascherina a coprire la faccia come svaligiatori di banca in erba. Ma già dagli occhi, vispi o cupi, sai la bocca sorridente di lei e le labbra imbronciate di lui.
Non potrebbero essere più diversi nell’affrontare la malattia, per Anna quasi un gioco anche quando il gioco si fa duro, per Daniele un nemico senza volto a cui può opporre solo una resistenza passiva degna di un novello Gandhi.
Anna sa piangere e sa ridere, perché anche questa è la sua vita e non la vuole sprecare. Daniele non piange e non ride, perché in questa sua vita lui non c’è. Continua a leggere
c.calati
C’era questo collega che mi assomigliava in modo impressionante: alti uguali, stessa barba, stessa magrezza, stessa testa stretta e spelacchiata, occhiali simili e anche la dentatura era quasi uguale, ma io ho i canini un poco storti. La somiglianza, però, si limitava al fisico perché per il resto il dottor Bajani era diverso da chiunque. Continua a leggere
dal web
Lo so, quand’anche trovaste il coraggio, lo prendereste in braccio con troppa cautela, quella circospezione diffidente, come fosse un bambolotto fragile e prezioso, che se lo rompete sono cazzi, e come un bambolotto lo guardereste, quasi con disgusto, che ci fate voi alla vostra età con questo fantoccino in braccio? In ogni caso lo trattereste come un giocattolo, sì, un qualcosa di divertente e inanimato, con cui non è possibile interloquire. Qualche parola di entusiasmo, dal suono falso come una terracotta incrinata e poi lo rendereste sollevati.
Che peccato.
Chissà quando vi capiterà un’altra occasione per capire.
Ma capire cosa? Che cosa c’è da capire in un vermetto che sa solo piangere e ciucciare? Dai, massimo, dacci un taglio con ‘sta poetica del neonato.
E invece insisto. Continua a leggere
by c.calati
Ve lo voglio raccontare quello che ci è successo un giorno, successo a noi che eravamo i manovali del dolore. Ad essere ordinati dovrei iniziare dal giorno della nascita, ma allora ancora non sapevamo nulla, oppure, ad essere sintetici, potrei partire dalla morte, ma a quel punto sapevamo tutto.
Il fatto è che non è stato per tutti lo stesso giorno, ognuno ci è arrivato attraverso un cammino suo, tortuoso o rettilineo, a seconda. Continua a leggere
c.calati
Nessuna più in ambulatorio a far la diva involontaria, che lei calcava il pavimento come fosse un palcoscenico facendo di se stessa un personaggio sfaccettato, un po’ macchietta per ridere con noi, un po’ convinta di avere un ruolo tragico. Ma mai diva del muto, che lei non era capace di tacere, probabilmente parlava anche nel sonno. Incredibilmente, nonostante il suo profluvio di parole e di stranezze annesse e sconnesse, l’ambulatorio non aveva mai funzionato così bene come da quando ne era lei la responsabile. Continua a leggere
c.calati
Pino gonfia i palloncini e ride.
A guardarlo sembra un citrullo.
In realtà lui ride all’allegria che non sapeva di possedere e che ora sparge intorno come chicchi di semenza. E ride anche a quell’uovo di Colombo che è la vita. Continua a leggere
dal web
Cammino nel primo buio di città, che vero buio non è mai, tra una folla in fervore natalizio, la folla, non io, che devo solo fare una commissione che col Natale non c’entra nulla e ho scelto l’ora peggiore per farla.
Passi affrettati a togliermi d’impiccio e un umore nero che mi serpeggia dentro, quando una sirena improvvisamente squarcia i canti d’atmosfera diffusi da ogni dove per la via: un’ambulanza si destreggia nel traffico e presto ne resta intrappolata, nelle auto musica palla o chiacchiere distratte, bambini che strepitano, genitori che litigano e nessuno che si sposta. Adulti, anziani e piccoli si tappano le orecchie infastiditi dal persistere del sibilo come fosse colpa della lettiga l’essere lì bloccata. Io le orecchie le dilato al bel suono del soccorso e provo un furore da highlander, potessi ammonticchierei le macchine ai lati della strada per aprire un varco come quell’altro le acque del MarRosso. Continua a leggere
c.calati
Deehh, dottore, le cartelle sono sulla scrivania e i bambini sono qui fuori dalla porta, in attesa della visita; basta che lei li chiami per nome, loro sanno che devono entrare uno alla volta. Perdoni se non mi alzo, ma oggi sono proprio stanca. Continua a leggere