Hèrvat, la donna che amava le rose

15 Mag

                                          

                                          

Appena buio contrabbandieri turchi varcavano i confini con il loro carico d’acqua, preziosa più dell’oro nero, e silenziosi si spargevano come formiche tra le case. Un lieve picchiettio sui vetri e le porte si schiudevano assetate in uno scambio muto di merce e di denaro. Tutti sapevano di quel commercio proibito e molti per necessità azzardavano il rischio. Rischio concreto, che ogni notte echeggiava qualche sparo e non c’era settimana senza che qualcuno venisse impiccato sulla piazza principale del villaggio, dopo un processo frettoloso dall’esito scontato. 


Anche Hèrvat per qualche tempo era ricorsa all’aiuto turco, ma ora era troppa la paura e quasi alla fine i suoi risparmi. Così fu costretta ad altri sacrifici, rinunciando a sé pur di mantenere in vita la sua rosa. La rosa, cresciuta sul retro della casa, nascosta agli occhi altrui da rovi e sterpaglie disposte con sapienza, la rosa, ultima e unica, era divenuta simbolo, solo a lei noto, della resistenza al cataclisma che si era abbattuto sull’intera regione. La donna, come tutti del resto, da tempo viveva nell’angoscia. E con l’angoscia lo sconcerto. Un anno terribile l’aveva attraversata con la furia di una tempesta che aveva cancellato i punti cardinali, fede, amore, patria e quiete. Hèrvat cercava di resistere a qualcosa di tremendo che non arrivava a comprendere. Lei davvero era aszbeka? Non sapeva, si era sempre creduta di stirpe circassa, ma ora una cosa così naturale non poteva nemmeno più pensarla. 
Perché l’Aszbekian era stato inventato a tavolino, forse vinto ai dadi, da un gruppo di militari che, dopo il crollo dell’impero sovietico, era rimasto intrappolato nella regione più incolta del Caucaso, con troppe armi e molta smania di muovere le mani. In nome dell’unità di un popolo che di fatto proveniva da diverse etnie, quattro ufficiali, autopromossisi generali, avevano strappato agli stati confinanti territorio e gente, sufficienti a farci stare una capitale, tante caserme e qualche villaggio sparso tra strette valli e alti dirupi. La Nazione era nata come un fungo in una umida notte estiva, tra lo stupore dei suoi abitanti, contadini di origine persiana, pastori di Georgia, mercanti armeni, nomadi ceceni. 
E da allora, estate e inverno, le notti si erano fatte tragiche e le giornate erano vissute con terrore, perché sempre nuove leggi, le più assurde, venivano prodotte a tambur battente e fatte rispettare da una soldataglia rozza. L’islam dei padri al bando, Allah misericordioso sostituito da un dio fantoccio al servizio della guerra, che sempre c’era una guerra, per la conquista o la difesa di qualche nuda pietra. La vita pigra dei villaggi stravolta dai divieti, niente più musica e canti ai matrimoni, ai funerali solo i parenti stretti, vietati i dialetti in cambio di una lingua nuova che nessuno sapeva parlare. Così in Aszbekian regnava un silenzio mesto. 
E da poco quell’ultima follia: vietato l’uso domestico dell’acqua, ogni risorsa idrica destinata alla coltivazione del papavero controllata dallo Stato. Chiuso l’acquedotto, l’approvvigionamento di una quantità razionata d’acqua era garantito porta a porta dall’esercito. Naturalmente era proibita qualunque coltivazione privata, considerata contraria allo sforzo della Patria a produrre quanto più oppio possibile. 
Hèrvat amava le rose. Le aveva sempre coltivate con passione ma ora le aveva viste morire una dopo l’altra, lutti da patire nel silenzio. Le era rimasta quell’unica rosa dalla corolla sofferente e dal colore indefinibile, tra l’arancione, l’ocra e il rosa, in sfumature sempre più spente, come scolora e muta un volto umano in agonia. Per la sua sopravvivenza la donna si toglieva di bocca gocce preziose d’acqua in un sacrificio assurdo che la faceva sentire viva. 

È notte fonda quando picchiano alla porta, sembra che la vogliano abbattere a spallate. Hèrvat balza in piedi, indossa la pesante veste che la copre tutta e si precipita in cortile. Non ha un istante d’esitazione, recide la rosa e nasconde il lungo stelo tra i seni. Neanche sente le spine ferirle la carne, tanta è la paura di quanto può succedere. Dietro la porta non può che esserci la ronda che opera controlli a sorpresa. 
Hèrvat apre e subito si mette in un angolo a capo chino, in una posa che susciti il minor interesse e la minor irritazione nei soldati. In tre irrompono in casa e le fanno domande brusche sulle sue scorte d’acqua. Lei mostra le taniche regolamentari, negando di possedere riserve illegali. I tre si mettono a frugare ovunque, convinti che a saper cercare si trova sempre qualche prova di colpevolezza. La casa viene messa sottosopra senza risultato. I soldati, scuri in volto, per dispetto spaccano sedie, mandano in frantumi vasi e bicchieri, poi perlustrano il cortile. Scovano l’arbusto spoglio di rose, sospettano qualcosa ma la donna spiega che la pianta risale a tempo addietro, quando ancora era permesso coltivare i fiori. I tre uomini non si danno per vinti, guardano la donna tra voglia e rabbia, di sicuro non se ne andranno a mani vuote. Sono di nuovo baldanzosi, sanno come rifarsi quando una perquisizione va a vuoto. Trascinano per i capelli la donna in casa e mentre due la bloccano al pavimento e le tappano la bocca il terzo si china su di lei. Hèrvat ha occhi di terrore mentre quel bestione le solleva la veste sulle gambe. L’uomo in piena foia si paralizza all’improvviso, inorridisce alla vista del sangue che cola tra le cosce della donna. “Il sangue della luna! Non possiamo toccarla, è proibito.” I tre sono smarriti, la picchiano con rabbia, ma non osano altro. Alla fine se ne vanno, a cercare rivalse altrove. 
Hèrvat non si è ancora rialzata.

Piange sommessamente e stringe tra le mani la rosa.

Accarezza i petali avvizziti, bacia le spine che l’hanno salvata. 

24 Risposte to “Hèrvat, la donna che amava le rose”

  1. sibillla5 NADIA ALBERICI 15 Maggio 2024 a 10:17 #

    beh vengono i brividi a leggere questa storia, soprattutto pensando che queste cose accadono per davvero nel mondo, fra una guerra e l’altra e fra una dittatura e l’altra. Toccante questa rosa che fa sanguinare Hervat. La fragilità nostra come rose! grazie Massimo

    • massimolegnani 15 Maggio 2024 a 17:09 #

      siete fragili come rose e la vostra salvezza può essere grazie alle spine.
      Un sorriso e un grazie, Nadia
      ml

      • sibillla5 NADIA ALBERICI 15 Maggio 2024 a 18:47 #

        grazie a te Massimo per questo omaggio alle donne…forse è così…siamo unite alle spine ..forse è solo per una maggiore sensibilita che avvertiamo spine. chissà. buona serata

      • massimolegnani 15 Maggio 2024 a 20:13 #

        Grazie, anche a te
        🙂

  2. Daniela 15 Maggio 2024 a 10:19 #

    che dire, tanto di cappello a questo tuo scritto dal finale commovente e che resterà impresso, proprio come il graffio profondo della rosa, che ricambia l’amore della donna salvandola dallo stupro

  3. flampur 15 Maggio 2024 a 12:45 #

    Una storia tanto folle quanto reale in questo mondo dove la fantascienza di un futuro bestiale ormai è sempre più vicina alla più brutali delle realtà. Scriviamo di mondi al limite e quel limite è abbondantemente pane quotidiano di popolazioni e latitudini lontane da noi, dal nostro percepire, dalle nostre fantasie solo storie incredibili su blog sognanti. Io temo molto che le nostre inquietudini si trasformino presto in cronaca, e le spine da baciare un quotidiano convenzionale.

    Grazie sempre!

    Franco Battaglia

    • massimolegnani 15 Maggio 2024 a 17:17 #

      Mi ha ispirato la realtà del Caucaso che dalla fine dell’impero sovietico e’ un continuo sbriciolarsi in scissioni, separazioni, indipendenze di staterelli mai sentiti prima di allora.
      Grazie Franco per il tuo bell’intervento.
      ml

  4. newwhitebear 15 Maggio 2024 a 15:33 #

    Bellissimo racconto della follia del mondo che inventa nazioni inesistenti per soddisfare i sogni gloria di qualche militare, che impone regole assurde e crudeli ai suoi abitanti costretti a patire fame e sete.

    Questa volta le spine di una rosa hanno salvato la vita di una donna.

    Complimenti. Molto bello

  5. vittynablog 15 Maggio 2024 a 17:13 #

    Complimenti Massimo, hai saputo creare un racconto di altri tempi con molta suspense!’ proprio vero che le rose sono le preferite delle donne! Ora si sa pure il perchè!!!❤️❤️❤️

    • massimolegnani 15 Maggio 2024 a 17:21 #

      Vero! E sicuramente delle rose sapete amare anche le spine.
      Grazie Vitty
      ml

  6. rajkkhoja 16 Maggio 2024 a 09:30 #

    Very nice & interested story tailing you. The man in full fury suddenly paralyzes, horrified at the sight of the blood dripping between the woman’s thighs. “ The blood of the moon! We can’t touch her, it’s forbidden .” The three are lost, they beat her angrily, but don’t dare do anything else. In the end they leave, to seek revenge elsewhere.

    Have a happy evening Ml

    Raj🙋

    • massimolegnani 16 Maggio 2024 a 10:20 #

      yes, the bood caused by the rose thorns saved the woman!
      i’m very glad for your words, thanks Raj
      ml

      • rajkkhoja 16 Maggio 2024 a 10:29 #

        Most welcome,Ml

        Raj🙋

      • massimolegnani 16 Maggio 2024 a 10:35 #

        🙂

  7. Neda 16 Maggio 2024 a 11:24 #

    Agghiacciante, sto rabbrividendo, come donna e amante della libertà. Ho pensato a quegli stati occupati dal terrorismo islamico, alle dittature del passato e del presente e a ciò che l’essere umano è capate di fare, di inventarsi e di produrre. E, pure, ho pensato a un futuro nel quale, per fortuna, tu ed io non ci saremo più.

    • massimolegnani 16 Maggio 2024 a 12:58 #

      Mi auguro (ma ci credo poco) che quel futuro che noi dipingiamo così nero sarà meno catastrofico di quanto la nostra (veneranda) età ci fa presagire.
      Un abbraccio, Neda
      ml

      • Neda 17 Maggio 2024 a 12:21 #

        Ricambio l’abbraccio, di cuore.

      • massimolegnani 17 Maggio 2024 a 13:01 #

        un sorriso

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