rallenta fino a fermarsi sfinita, una locomotiva a vapore che ansima esausta

20 Mag

         

Vorrei raccontarvi di Fulvia ma non so cosa descrivere di lei che non sia intaccato da un qualche suo difetto, una ruggine che non risparmia alcuna cromatura. Vorrei trovare un dettaglio da cui partire, che non mi faccia fare la figura del cretino ai vostri occhi, ma è una storia, comunque la rigiri, che ondeggia pericolosamente tra l’incredibile e il patetico. Sarebbe come parlarvi del negozio di ferramenta sotto casa, difficile convincervi che nella sciatteria degli scaffali stracolmi di bulloni, nel bancone ingombro di martelli e cacciativi, nelle tute unte dei clienti, nel dialetto biascicato dai garzoni, io riesca a trovare, e a comunicare a voi, un fascino speciale.

Dirvi dei piedi? Notereste subito le ballerine quasi nuove già sformate dal suo peso. E le mani? L’occhio cadrebbe sugli orli smozzicati delle unghie e solo il timore di un ceffone da una di quelle sue pale da fornaio vi tratterrebbe da un commento caustico.

Potrei parlarvi dei capelli, una corta zazzera anarchica, così ribelle che sarebbe anche simpatica. Ma la striscia di blu elettrico, quella specie di cresta da galletto ubriaco, e l’arancio delle ciocche lasciate lunghe sulla nuca sono superiori ad ogni tentativo di rendervi partecipi di una seduzione assurda. Già, perché io sono stato sedotto da questa donna improponibile e ancora non so spiegarmi come.

Passeggiavo per le dune che fronteggiano la spiaggia nei pressi della foce del Serchio. Lei la vedo apparire e sparire in lontananza, su e giù per i crinali, una sagoma poco definita che mi viene incontro in qualche modo minaccioso. Mi sembrava si sollevassero nuvolette di polvere dove passava, forse era il vento che spirava a raffiche dal mare. Mi fermo ad osservare questa figura che ad ogni duna ingigantisce. Ha un passo di corsa appesantito, più la guardo e più ho la sensazione che il terreno tremi. Quando mi arriva a pochi metri il sole grande e tondo del tramonto viene oscurato per intero, come gli stesse passando davanti una nuvola. Rallenta fino a fermarsi sfinita con le mani sulle ginocchia, una locomotiva a vapore che ansima esausta. Emana un odore acre di sudore e grasso che si scioglie. Quando si risolleva mi sopravanza di una spanna, e io non sono basso. Ciao, mi dice e subito si lascia cadere sulla sabbia come un’elefantessa fa nel fango. La terra trema davvero, insopportabile il suo peso.

Mai visto niente del genere. La curiosità mi trattiene lì e lo stupore m’impedisce di parlare. Così restiamo in silenzio ad ascoltare il suo fiato che va e viene al ritmo corto della risacca. Tra pochi giorni ho un incontro mi dice, appena il respiro le permette di parlare, ma sono indietro con la preparazione. Non chiedo lumi, è lei che dopo poco aggiunge: Wrestling.

Si aspetta che le dica qualcosa, mi guarda, abbozzo un sorriso. Lei smanaccia l’aria per cancellarlo, Non è come credi. A dir la verità io non so in che consista il “come credi” che mi attribuisce, ma non la contraddico, la sua massa muscolare potrebbe innervosirsi.

Passa tra noi ancora qualche istante di silenzio, poi Fulvia con improvvisa agilità si mette in piedi. Sul ring sono “La gatta”, specifica, come fosse un’informazione necessaria alla comprensione del tutto, e subito riprende la corsa, facendomi di spalle un cenno di saluto.

Io resto lì imbambolato a meditare su quel “nome d’arte” che assomiglia a una taglia 38 indosso a una a cui andrebbe stretta la 50.

Ci incrociamo in cima al promontorio, dopo circa una settimana, lei sempre in corsa trafelata, io quasi fermo sui miei passi. Le chiedo com’è andata. Scuote il faccione e non accampa scuse, Mi ha battuto, è stata brava.

Forse è stata l’onestà delle parole o la fragilità nella sconfitta a intenerirmi, fatto sta che quasi senza volerlo le passo una mano sulla guancia sudata. Andrà meglio la prossima volta, vedrai, e le mie non sono parole di circostanza, scontate e false, io, in quel momento, desidero davvero consolarla.Mi fa segno di sì, ma intanto mi dice forse smetto.

Non so cosa mi prende, continuo a vederla per quello che è, una donna enorme dai tratti grossolani e una voce sgradevole, ma è come se vedessi anche dell’altro, nascosto sotto i muscoli e la ciccia, qualcosa che solo io posso far emergere.

Se smetti, non hai più bisogno correre.

E allora?, chiede, scrollando le spalle.

Non avrei più occasione d’incontrarti, la risposta mi è uscita quasi involontaria, ma poi la guardo negli occhi e vedo una luce che mi affascina.

Così la prendo per mano, improponibili le nostre mani una nell’altra, e ci avviamo verso una fontanella dove lei si possa rinfrescare. Le mani a conca, sono io a raccogliere un po’ d’acqua da offrirle e lei dalle mie mani beve e si lava, belva selvatica che presto diverrà domestica.

Ancora adesso passeggiamo per le dune a sera, prima e dopo esserci amati. Ma voi se ci incontrate, fate finta di non averci visto. Io un po’ ancora mi vergogno.

25 Risposte to “rallenta fino a fermarsi sfinita, una locomotiva a vapore che ansima esausta”

  1. Donatella Calati 20 Maggio 2024 a 09:38 #

    mi lascia stupefatta la tua capacità di creare la massiccia Fulvia come la delicata Hervat riuscendo a renderle credibili tutte e due, bravo!

  2. cate b 20 Maggio 2024 a 09:50 #

    di sconvolgente tenerezza.
    E come tutti gli scritti degni di plauso, mi lascia una domanda: la vergogna del narratore è dovuta alla differenza d’età, alla timidezza, all’aspetto fisico di Fulvia o cos’altro? Ovviamente non lo saprò mai… perché così deve essere 😉
    Un saluto
    cb

    • massimolegnani 20 Maggio 2024 a 10:09 #

      ..ma tu così gentile meriti una risposta 🙂
      la riprovevole vergogna dell’io narrante è tutta legata all’aspetto fisico di Fulvia che poco rispetta i canoni consueti di bellezza.
      un sorriso e un grazie, Cate
      ml

  3. Marcella Donagemma 20 Maggio 2024 a 13:21 #

    Davvero incantevole nella sua spregiudicatezza. Surreale e dolcissimo. Complimenti!

  4. vittynablog 20 Maggio 2024 a 15:35 #

    E’ una storia tenerissima, che mi fa pensare alla dolce canzone di De Grgori, La donna Cannone.

    • massimolegnani 20 Maggio 2024 a 16:13 #

      Giusto! Stesse silhouette ingombranti e stessi cuori teneri:)
      Grazie Vitty, buona serata
      ml

  5. newwhitebear 20 Maggio 2024 a 18:06 #

    Beh! mi sembra che Fulvia, nonostante i suoi limiti, abbia capito che il Wrestling non fa per lei. Hai colto lo spirito di questa donnona che si dimostra molto più umile di tanti altri.

  6. flampur 21 Maggio 2024 a 10:21 #

    Hai un dono incredibile. E te lo invidio di cuore perché io non riesco neanche a scalfirle le persone. Gli rimbalzo addosso. Ancor meno crearle, perché presuppone un’empatia che non riesco ad architettare. Forse per questo preferisco offrire un’anima agli oggetti. Complimenti per avermi fatto entrare nella storia come davvero pochi altri..

    Franco Battaglia

    • massimolegnani 21 Maggio 2024 a 11:20 #

      grazie Franco, la tua sana invidia è un bel regalo. D’altronde tu sei impareggiabile nell”offrire anima agli oggetti”.
      un caro saluto 🙂
      ml

  7. rajkkhoja 21 Maggio 2024 a 10:32 #

    Very nice & interesting love story. M

  8. Neda 22 Maggio 2024 a 12:39 #

    Certo che tu e Guido siete fantastici nell’inventarvi storie irreali, ma stupende nella loro “verità” e descritte sempre in modo egregio. che bello leggervi. (però vorrei vedervi…non dirlo a nessuno…tu e lei, tu così magro e secco e lei “elefantesca”…)

    • massimolegnani 22 Maggio 2024 a 17:20 #

      eheh, in effetti per questo racconto ho scelto un personaggio femminile assai distante dai miei canoni estetici:)
      Ciao Neda, un sorriso
      ml

  9. UnUomoInCammino 24 Maggio 2024 a 08:22 #

    odore acre di sudore e grasso

    Da appassionato di ferrovie, ho rare occasioni nelle quali mi imbatto in un treno storico a vapore.

    Una delle cose che adoro è la cornucopia di stimoli sensoriali tra i quali quelli olfattivi, col profumo di vapore, grasso lubrificanti, (pro)fumo di carbone.

    Ahhh.

    • massimolegnani 24 Maggio 2024 a 09:20 #

      io ho un vago ricordo di quando andavamo al mare in treno e mi sporgevo dal finestrino a respirare il fumo della locomotiva (a vapore!)
      ciao Uomo
      ml

      • UnUomoInCammino 27 Maggio 2024 a 23:19 #

        Uh che meraviglia!
        Potrei aggiungere pure l’odore ferruginoso di ceppi consumati, a quei tempi non esistevano i freni a disco, in ambito ferroviario, ma i ceppi che lasciavano, consumandosi, la loro polvere di ferro a colorare e odorare quanto intorno.

      • massimolegnani 28 Maggio 2024 a 08:05 #

        …e i rumori di sfiato delle condutture ad ogni sosta come fosse sempre sfinita, come l’elefantessa!

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