Sta ritto sui ciottoli bianchi quest’uomo quasi anziano e ancora asciutto come un giunco. Scruta il mare con un’intensità serafica, sembra un gabbiere alla ricerca della terra che pure sa ancora lontana. E quando distoglie lo sguardo dall’acqua è per osservare il cielo, le rocce muschiate, le piante mosse dal vento, per ogni cosa ha uno stupore contenuto, tutto guarda tranne le persone che gli stanno intorno. Quest’uomo è avulso dal contesto di piccolo carnaio nella spiaggetta riparata dagli sguardi indiscreti. È nudo, certo, come tutti qui, ma distante dal suo corpo e da quelli altrui. Lui sta nudo come dimentico di quella sua carne antica e di quel sesso circonciso e pendulo che non nasconde né esibisce. Ha qualcosa di mistico e autorevole, non certo di autoritario, che solo quando si muove tra i bagnanti al sole sembra accorgersi di loro e allora per ciascuno ha una parola di scusa o di saluto, sembra aggirarsi in un campo di battaglia a confortare i feriti e dar commiato ai morti. È una naturalezza nuda di pose e gesti che fatichi a immaginartelo vestito. E se proprio devo vestirlo gli metterei addosso un saio, perché mentre lo guardo mi torna in mente un luogo sacro appena visitato, Thoronet, e il canto gregoriano che fluiva misterioso tra le pietre romaniche. Ero nella sala capitolare, spoglia e magnifica, ascoltavo il canto e cercavo diffidente il trucco tecnologico che giustificasse quella voce sola così nitida e intonata. Ma non c’erano altoparlanti o altri ammennicoli moderni né tantomeno monaci che cantassero in quella sala.
Come un segugio attraversai un locale dopo l’altro, il refettorio, il chiostro, il dormitorio, tentando di risalire all’origine dei suoni, finchè mi ritrovai nella chiesa abbaziale. Lì un uomo, un semplice turista come altri con tanto di macchina fotografica al collo e camiciola a quadretti sgargianti, cantava nei pressi dell’altare senza alcun accompagnamento e senza l’aiuto di un microfono. Una meraviglia di echi e di rimbalzi sulle pietre la sua voce che si spargeva ovunque, una bellezza il canto. E anche lui avrei voluto vestire con un saio.
(il canto incanta– diremmo noi. come una nudità che sa vestire il tempo, e farne a meno)– bellissima pagina, Carlo.
(mi son permessa di linkarlo su FB)
Nerina, desideravo la tua condivisione ed è arrivata subito
(felice)
c.
[bacio]
Nostalgia del gregoriano. D quando disponevo della mia vita e lo cantavo. Grazie!
Tu il gregoriano!?!
Sei una meraviglia
ml
La bellezza mistica della nudità più pura e del canto gregoriano più nudo è totalmente condivisa da me in un silenzio di stupore.
Grazie, ml.
gb
hai colto l’essenza del brano, gb, nudità e canto limpidi
grazie
ml
La nudità incentiva l’eleganza dell’anima. Solletica la percezione del bello attorno. Stimola la ricerca del rifugio dell’essenza. E, il canto arriva vestito di tutta la sua armonia. Mi piace molto questo tuo post. Con gli anni si ricerca lo STUPORE contenuto, l’originaria NATURALEZZA. Grazie! Un saluto caro. Dora.
nudità e canto, quando ben portati, realizzano l’essenza che dici.
grazie a te, Dora.
ml
Ben ritrovato, mio caro C.! L’estate ci distrae e ritempra (si spera), ma leggere piacevoli incanti vale quanto una ventata d’aria fresca nell’arsura del primo pomeriggio. Il canto gregoriano suscita in me ricordi di scuola…sembra un’altra vita! Un abbraccio.
ciao Bak, felice di vederti
un abbraccio a te
ml
Forse, li avresti vestiti con un saio perché, come dei monaci, lasciavano trasparire la serenità di chi possiede delle certezze. Forse, mentre i monaci godono della certezza della fede, l’uomo in spiaggia ha conquistato l’accettazione che non vi siano certezze (mentre leggevo, mi è piaciuto immaginare che fosse così). Molto bello.
sì, emanavano entrambi serenità, nel corpo nudo e nel canto, una sorta di religiosità che prescindeva da una specifica fede.
grazie e benvenuta
ml