sfiorando appena la parola amore

26 Gen

by c.calati

 

 

Serse era cresciuto in fretta, imparando la geografia dai finestrini del camion e l’italiano dal miscuglio di dialetti che incontrava sul cammino. Le parole scritte erano arrivate più tardi, rubate ai giornaletti e ai rari libri sfogliati nei lunghi pomeriggi passati sui gradini del carrozzone, quando suo padre gli diceva sloggia che ho da fare. Il da fare di suo padre era dormire mezzo ubriaco o spassarsela con una bionda se prevaleva l’altro mezzo. 
Era cresciuto in fretta, Serse, per una spinta naturale verso l’alto provocata dall’ambiente, come un pioppo che in mezzo a tanti simili a lui sgomita e s’allunga a raggiungere la sua porzione di cielo. Chiamarlo circo, quell’ambiente, sarebbe stato usare una parola troppo grossa, un gruppo di girovaghi piuttosto, di quelli che ancora battevano i paesi fino a poco tempo fa, ciascuno con una piccola destrezza da sfruttare andando di piazza in piazza, chi a correre sul filo, chi a sputare fuoco, chi a contorcersi su un tavolo, chi a incantare tortore come fossero serpenti. Suo padre era il lanciatore di coltelli, ma non tutte le sere, infatti se beveva il numero saltava. Oltre a quello non sapeva fare altro, tantomeno il padre. Ma due cose al figlio, pur senza volerlo, le andava insegnando: la pazienza del ragno e la precisione delle lame. E se sulle lame c’era poco da aggiungere perché Ernesto, il padre, i coltelli li tirava con un’esattezza mozzafiato, sul ragno ci sarebbe stato da eccepire, perché tesseva la sua pigra tela unicamente per impigliarci qualche donna. Non gl’importava quale da quando Armida era scappata con il nano, che Serse ancora le ciucciava il seno.
A quindici anni il ragazzo, ciuffo studiato a cascare sugli occhi che avrebbe voluto freddi come lame, brufoli rosso fuoco e barbetta spelacchiata, messa insieme con i primi peli a far da ragnatela al viso, si sentì pronto per il brivido. Dove trovarlo il brivido, fatto prima di terrore e poi di soddisfazione, Serse non ne aveva idea. Eppure la sentiva come una necessità quella ricerca, da quando aveva assistito per la prima volta al lancio dei coltelli, il lancio vero, non le prove del pomeriggio contro la sagoma in cartone, lo spettacolo alla sera, le punte conficcate tutt’attorno alle pelle di una donna. Ricordava ancora la paura dell’errore che cresceva un tiro dopo l’altro, l’adrenalina del coltello che viaggiava, il terrore prima e poi il sollievo suo e negli occhi della Gianna, la donna dei coltelli. Era così, scopare? Serse decise che era ora di darsi una risposta. Scelse proprio la Gianna, burrosa e abituata a coltelli di ogni genere.
Lei quando capì le sue intenzioni gli scompigliò il ciuffo e rise. Poi, vedendo il suo sguardo più affilato di un rasoio, rise ancora, ma intanto aprì con intenzione i lembi della vestaglietta a fiori.
Il debutto non fu un granchè. Ci fosse stato un pubblico pagante avrebbe certo preteso la restituzione del denaro. Ma fortunatamente nel carrozzone della Gianna c’erano solo loro due. Il ragazzo, in bilico tra fretta e panico, non le aveva dato il tempo di stendersi sul letto. L’aveva inchiodata a un’anta dell’armadio al primo lancio, senza poi riuscire a trafiggerla; l’aveva tradito il cazzo troppo esuberante, pensare che lo credeva la sua arma migliore, quella con cui conquistare il mondo. Ma l’arma fidata aveva seguito una parabola ingloriosa, cadendo verso terra appena prima di raggiungere il bersaglio. In una sorta di rimedio Serse abbracciò Gianna mormorando ridicoli ti amo. Questa volta la donna non rise ma strinse a sé il ragazzo e, chiamandolo piccolo scemo, lo trascinò sul letto. Lì, accarezzandolo e spogliandolo con una lentezza quasi sbadata, gli raccontò il fascino sottile delle parole e dei coltelli che sempre la lambivano senza mai colpirla al cuore. L’amante è come il lanciatore, disse; possiede l’arte di sfiorare la mia pelle con i gesti e le parole ed è tanto più bravo quanto più lieve sa girare attorno al mio bersaglio. Ti amo lascialo dire a chi non sa inventare altro.
Serse ascoltava affascinato e non si rese conto, mentre riceveva piccoli baci sul torace e vaghe carezze ai fianchi, di essere diventato lui bersaglio e Gianna una lanciatrice di coltelli che precisa gli sfiorava appena il cuore.

36 Risposte to “sfiorando appena la parola amore”

  1. lamelasbacata 26 gennaio 2018 a 15:08 #

    Bello, carnale ed elegante come il tuo stile.
    All’irruenza di un amante inesperto meglio la lenta seduzione del ragno.
    “dormire mezzo ubriaco o spassarsela con una bionda se prevaleva l’altro mezzo” questa è da applausi!! Bravo 🙂

    • massimolegnani 26 gennaio 2018 a 17:05 #

      la goffaggine degli uomini, specie all’esordio, è proverbiale quasi quanto la soavità di certe donne, di esperienza e disincanto.
      felice del tuo apprezzamento, in generale e di quella frase in particolare.
      ti abbraccio, Melina
      ml

  2. Aria Mich 26 gennaio 2018 a 15:17 #

    Il finale è bellissimo!! Un “cambio di ruoli” 😀 . Ho letto tre volte le parole di Gianna ed anche il finale della storia, per gustare ancora le parole! Profonde proprio come lame 😀

    • massimolegnani 26 gennaio 2018 a 17:07 #

      forse sono un po’ vanitoso (!) ma sapere del ri-leggere per assaporare, bè, mi inorgoglisce 🙂
      grazie Aria
      ml

      • Aria Mich 26 gennaio 2018 a 17:52 #

        È giusto sentirsi vanitosi per questo! 😀 non per nulla hai scritto un bel racconto.

      • massimolegnani 26 gennaio 2018 a 18:30 #

        Sei indulgente 🙂

      • Aria Mich 26 gennaio 2018 a 19:19 #

      • massimolegnani 26 gennaio 2018 a 19:36 #

        🙂

  3. Storie a muzzo 26 gennaio 2018 a 16:06 #

    Mi é piaciuto tantissimo il finale! Tutto in realtà.

    Bravissimo.
    (Sono molto onorata del fatto che mi segui 😄)

  4. Giuliana 26 gennaio 2018 a 16:17 #

    e brava Giovanna filosofa, “ti amo lascialo dire a chi non sa inventare altro”

    • massimolegnani 26 gennaio 2018 a 17:11 #

      spesso le parole d’amore sono alibi per far breccia o giustificazioni al “cedimento” 🙂
      ciao Giuliana
      un caro saluto
      ml

  5. Transit 26 gennaio 2018 a 16:54 #

    …In una sorta di rimedio Serse abbracciò Gianna mormorando ridicoli ti amo.

    Quella sopra è la frase che mi piace di più perché se Serse non ha alcuna esperienza fisica, di sicuro, non ha né quella emotiva e né amorosa. Per cui non sappiamo cosa farà e quanto gli costerà quel primo amore, turbamento o illusione adolescenziale. E forse Gianna ha la chiave per farlo crescere … con armonia e furore. Il distacco sarà travagliato. Per entrambi: ognuno è portatore della propria verità. O presunta verità.

    • massimolegnani 26 gennaio 2018 a 17:13 #

      cavolo Armando, non solo leggi “giusto” ma leggi anche oltre la chiusa e in modo verosimile.
      grazie
      ciao 🙂
      ml

  6. flampur 26 gennaio 2018 a 17:09 #

    Voto anche io per il “ti amo lascialo dire a chi non sa inventare altro”. Perché è un’ovvia ovvietà cui tutti abbiamo pagato pegno mentre cercavamo di riconoscerci eroi, ed eravamo solo fuggiaschi.

    • massimolegnani 26 gennaio 2018 a 17:16 #

      bellissimo e vero quel cercavamo di riconoscerci eroi ed eravamo solo dei fuggiaschi.
      grazie Franco
      ml

  7. remigio 26 gennaio 2018 a 19:09 #

    Più che commentare il racconto – scritto, come al solito, con grande maestria – mi incuriosisce quella foto e ti domando: quei coltelli, su quella tavola, sono il risultato di un tuo lancio magistrale, oppure li hai infilati così a pugno, giusto per fare una foto?? 🙂

    • massimolegnani 26 gennaio 2018 a 19:36 #

      Rido di gusto, altro che lanciarli, sapessi la fatica che ho fatto per piantarli impugnandoli:)
      Ciao Remigio
      buona serata
      ml

  8. elettasenso 26 gennaio 2018 a 21:23 #

    Waho. Lanciato come un coltello questo brano: arriva preciso a pochi millimetri dalla carne. Bravo.
    Eletta

    • massimolegnani 26 gennaio 2018 a 23:54 #

      mi piace l’immagine del brano lanciato come un coltello e quel suo lambire la carne
      grazie Eletta
      un abbraccio
      ml

      • elettasenso 27 gennaio 2018 a 09:58 #

        Buona giornata caro

      • massimolegnani 27 gennaio 2018 a 10:43 #

        Buongiorno a te
        qui ci vorrebbe il simboletto della pioggia 🙂

  9. dimaco 27 gennaio 2018 a 01:51 #

    Egregio, sei un grande. Tutti noi abbiamo provato a lanciare i coltelli: sapessi in che modo miserrimo sono finiti.

    • massimolegnani 27 gennaio 2018 a 10:45 #

      ..peggio di Serse, non avevamo una Gianna che ci risistemasse la traiettoria dei coltelli!
      Ciao
      ml

  10. newwhitebear 27 gennaio 2018 a 22:38 #

    un bel racconto che descrive bene le sensazioni di Serse ma anche la forza di Gianna, forgiata dall’essere il bersaglio.

    • massimolegnani 27 gennaio 2018 a 23:27 #

      mi fa piacere che hai portato l’attenzione su Gianna, donna coraggiosa abituata a farsi sfiorare dai coltelli e ad amarli.
      grazie GianPaolo, buona serata
      ml

      • newwhitebear 27 gennaio 2018 a 23:31 #

        non so ma mi è sembrato il personaggio più carismatico. Il padre ubriacone, Serse un pulcino inesperto, mentre Gianna è donna posata e saggia, abituata al pericolo di essere trafitta.

      • massimolegnani 27 gennaio 2018 a 23:43 #

        condivido pienamente il tuo giudizio su questa donna.
        🙂

      • newwhitebear 28 gennaio 2018 a 00:15 #

        ciao. a leggerti presto

      • massimolegnani 28 gennaio 2018 a 01:01 #

        ciao 🙂

  11. percheno99 29 gennaio 2018 a 22:49 #

    La donna dei coltelli, ne ho conosciuta una tempo fa, e cercavo di decidere dai suoi occhi quanto coraggio fosse necessario per sfidare le lame ogni sera. Ma, forse, ne occorre di più per lasciarsi andare, come Gianna.

    • massimolegnani 29 gennaio 2018 a 23:43 #

      tanto coraggio e tanta fiducia nel lanciatore
      ciao, grazie del passaggio e delle parole
      ml

  12. Stefi 31 gennaio 2018 a 19:10 #

    Perdonami, ml, sai che mi capita di ricorrere ad associazioni di cui, forse, non si capisce il senso. E’ che fin dalle primissime righe di Serse mi è ronzato in testa l’incipit di “Cent’anni di solitudine”, mio romanzo del cuore:

    “Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.”

    C’è l’atmosfera di Macondo, qui.

    • massimolegnani 31 gennaio 2018 a 19:42 #

      e io mi cospargo il capo di cenere perchè ancora non ho letto cent’anni di solitudini, è una lettura che rinvio di continuo.
      bellissimo il frammento che riporti e qualunque via che hai seguito questa associazione mi inorgoglisce
      Grazie Stè
      ml

      • Stefi 31 gennaio 2018 a 23:08 #

        Correre subito ai ripari, ml.
        Non si può stare senza Cent’anni.

      • massimolegnani 1 febbraio 2018 a 00:08 #

        hai ragionee!!

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