tabacco turco a Smirne

16 Lug

 

photo by margherita calati

Come chiamarti, ora che l’alfabeto è andato in briciole e la voce resta immobile in un silenzio che si espande come una cancrena? Come chiamarti, se il pomeriggio che procede incerto sfuma i tuoi confini e io confondo l’ieri con domani, il ricordo con l’attesa?

Si sta facendo tardi tra questi ciottoli dove non distinguo l’onda che porta le conchiglie dalla risacca che le risucchia in mare. Con le conchiglie tu, che non so dire se devo attendere alle spalle, ancora immersa nel sonno della stanza, o cercare tra quelle poche teste che spuntano dall’acqua. E intanto vai e vieni nella mente in una sarabanda senza senso, che ti sento ridere quando ti ricordavo piangere. La finestra ti inquadrava mentre tentavi di convincermi, tu appoggiata al davanzale guardavi fuori per nascondermi le lacrime, io ancora a tavola mi versavo da bere per sfuggire al difficile momento. Era una serata afosa e ai primi tuoni mancò la luce. Meglio così, un’attenuazione del disagio. La tua sagoma contro il cielo plumbeo era poco più di un’ombra cinese in cui, se ci credi, puoi vedere qualunque cosa, un bicchiere ancora e mi sembravi nuda.

Forse il fumo offerto da quel tipo mi è andato dritto in testa. Tabacco turco? gli avevo chiesto perplesso e lui, mostrando denti scaltri dietro i baffi, meglio di tabacco aveva risposto, caricandomi una pipa intrisa di saliva. O forse sono state le tue parole, appena dopo, a stordirmi, quando la casbah aveva già cominciato a girarmi intorno come un vortice e tu ridevi gridandomi qualcosa di terribile.

Eppure quella sera la tua voce buia mi stava contagiando. Ritrovarci a Smirne, dopo le ferie altrui e i nostri affanni, ritrovarci sarà facile, quando i turisti avranno preso il volo e saremo solo noi, confusi in mezzo ai turchi. Sembrava che cantassi. Ti guardavo nell’oscurità, con un incanto rinnovato, quando dietro di te un lampo per uno strano effetto sembrò attraversarti e spaccarti in due. Rimasi sbalordito. Come riuscire a ricomporti? I tuoi frammenti da raccattare con pazienza, tu il mio specchio andato in pezzi. Togliti di lì che è pericoloso, ti dissi tornando sulla terra. E passammo il resto della sera a chiudere finestre e accendere candele, l’incantesimo del canto era sparito, restava quel disagio di non saperci più parlare. Andremo a Smirne, forse, ma ci ritroveremo?

Ecco, sì, mi hai chiamato idiota mentre, con la pipa in bocca e parecchi soldi in meno nelle tasche, mi sembrava di nuotare tra i vicoli intricati e le botteghe oscure dei mercanti di tappeti. Idiota, mi rimbombavi in testa e mi danzavi intorno, sembrava tu avessi fatto una scoperta che ti teneva allegra. E io attaccato alla coda di un somaro mi lasciavo trasportare sperando mi conducesse fuori dal labirinto formatosi dentro e fuori la mia testa, mentre la tua voce pur gridando si faceva sempre più lontana.

Idiota può essere una parola bella, dipende dal contorno. Idiota ti adoro, sarebbe una dichiarazione da farci la firma. Ma non ricordo tu m’abbia mai detto qualcosa del genere. Idiota mi galleggia solitario in mente, accompagnato solo dalle risa. Le altre parole, se mai ci sono state, si sono perse, forse coperte dai ragli del somaro.

Così, mentre ti aspetto giungermi alle spalle o emergere dal mare, esamino le variabili infinite del tono della voce, le suggestive ipotesi delle parole perse, le due possibilità di risa o lacrime in accompagnamento. È un gioco che non smetto e che mi annienta. Le parole che mi escono di bocca, più numerose di questi ciottoli che fisso inebetito, non le riconosco più e senza senso muoiono prima di raggiungere le onde. Ho perso l’alfabeto. Ripeto tre lettere di cui non scorgo più il significato, A.B.C. Come pretendere di mettertele in bocca?

E intanto si fa sempre più tardi. Mi sciolgo nel crepuscolo come una medusa all’aria.

Tu non arrivi. Forse mai sei venuta a Smirne.

6 Risposte to “tabacco turco a Smirne”

  1. Nerina 16 luglio 2012 a 23:39 #

    (foto bellissima, peraltro)–

  2. giuliagunda 12 dicembre 2014 a 12:43 #

    Brano non facile, no (e l’ho letto due volte di fila!).
    Ho una gran confusione in testa, come avessi fumato anche io, ma questa è una cosa buona, dato che le tue parole vanno a comporre una visione distorta del reale, ricordi, impressioni e fantasie di chi è sotto effetto di allucinogeni.
    Per il resto l’atmosfera è certo molto sfumata e nebbiosa, come un “passinbruno” che però non rasserena affatto.
    Mi è piaciuta l’immagine della sua sagoma alla finestra che permette di immaginare lei in mille modi, e quel vino che aiuta a far sì che sia un bel modo. Così come mi è piaciuto il pensiero delle parole che si vorrebbero mettere in bocca a qualcuno, ma come pretenderlo? (riflessione che apprezzo e condivido), e tutte le lettere dell’alfabeto perse, (quel “come chiamarti?” iniziale).

    Davvero malinconico e bello.

    Un abbraccio,

    G.

    • massimolegnani 12 dicembre 2014 a 13:50 #

      è un brano sfortunato questo in termini di consensi a cui sono molto affezionato.
      la confusione che provi è lo stordimento del protagonista che volevo trasmettere al lettore. la vicenda si svolge in due tempi (che il protagonista mescola nella sua testa), la sera del temporale in cui la coppia constata la propria crisi e progetta una vacanza riparatrice e il soggiorno a Smirne in cui non si capisce se sono andati entrambi o solo lui, che immagina solamente la presenza di lei (che effettivamente non compare mai).
      Quindi il tuo senso di confusione (che non ti ha impedito di addentrarti nei meandri del brano) diventa in qualche modo parte integrante del quadro.
      un sorriso e un grazie,
      ml

      • giuliagunda 12 dicembre 2014 a 13:56 #

        Allora sì, si capiva, è scritto bene e a me è piaciuto molto.
        🙂

        G.

      • massimolegnani 12 dicembre 2014 a 13:58 #

        (sono contento) 🙂

        Date: Fri, 12 Dec 2014 11:56:52 +0000 To: agilulfo_@hotmail.it

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