Canal de Bourgogne (aprile 1944)

22 Apr
photo by m. pescarmona

                                   

Era una di quelle mattine di mezzo aprile in cui l’aria ancora frizzante costringe al soprabito e alla sciarpa che poi ingombreranno il braccio per il resto della giornata. L’uomo, seminascosto dietro la casupola scalcinata a ridosso della chiusa, studiava il da farsi. E intanto osservava la ragazza seduta al sole sull’erba. Accanto a lei un fagotto di cenci mal lavati. Un filo d’erba stretto tra i denti e gli occhi a fessura contro il bagliore della luce le davano un aspetto imbronciato. Non era bella, un volto dai tratti contadini e un corpo che doveva essere piuttosto tozzo, per quanto, così da seduta, fosse facile sbagliarsi. La fronte breve, il naso grosso, come gonfio, non la facevano sembrare nemmeno intelligente. Eppure aveva un che di attraente. L’uomo cercò un aggettivo che la definisse meglio. Scartò sensuale, non si soffermò più di un istante su seducente, era decisamente fuori strada, voleva qualcosa di più preciso e meno impegnativo, una parola che fosse più attinente alla sua fisicità che non alla bellezza. Gli capitava spesso, quando rifletteva, di cercare il termine più adatto come se già stesse pestando sui tasti della macchina da scrivere in redazione: Ricordati, non esistono sinonimi, esiste un’unica parola esatta per ciò che vuoi descrivere, lo aveva ammonito il direttore all’atto dell’assunzione all’Eco di Digione.

Al di là del canale un gallo ruppe il silenzio con un canto tardivo. Come una risposta, dal fagotto partì un pianto affamato. La ragazza sbuffò e si aprì di malavoglia la camiciola di tela ruvida. Dalla maglia di lana grezza estrasse un seno gonfio che perdeva qualche goccia di latte. Prese il bimbo dall’involucro di stracci e lo attaccò senza guardarlo, continuando a mordere il suo filo d’erba, apatica. L’uomo sorrise, selvatica, ecco l’aggettivo. Se fosse riuscito a far parlare la “selvatica”, sarebbe venuto fuori un buon articolo. Decise di uscire allo scoperto.

Buongiorno, disse avvicinandosi come stesse sopraggiungendo in quel momento dalla strada.

La ragazza alzò appena lo sguardo.

In paese mi hanno detto che qui avrei trovato facilmente un passaggio su una chiatta.

Lei sputò il filo d’erba e senza accennare a coprirsi disse:

Ne passano poche, di ‘sti tempi.

Non sembrò meravigliarsi che quell’uomo sbucato dal nulla e vestito con un’eleganza da città preferisse viaggiare su un barcone da carico anziché su un treno o in corriera che avrebbe potuto prendere in paese senza doversi fare i tre chilometri per arrivare fin lì. Erano tempi difficili, in cui non ci si stupiva più di nulla.

Mi chiamo Jean Baptiste Vittel e commercio in granaglie.

La ragazza non rispose. Scoprì l’altro seno fissando l’uomo negli occhi e impiegò un tempo lungo, sfrontato, per passare il bimbo alla seconda mammella. Fino a pochi mesi prima doveva essere un seno ben fatto, forse minuto, sicuramente teso, da cavarci piacere anziché latte, ora era sformato e percorso da venuzze bluastre e piccole smagliature.

L’uomo si accese una sigaretta.

Lei si chiama Béatrice, vero?

E a lei chi gliel’ha detto?

Ieri sera, in trattoria, l’hanno nominata più volte quando mi informavo su come togliermi di qui. Sa, non mi fido dei treni, basta un aereo con ancora una bombetta sotto la pancia e buonanotte ai suonatori.  

Jean Baptiste aveva accompagnato le ultime parole con un gesto della mano che imitava l’aereo in picchiata. Poi tirò fuori un giornale di tasca, lo dispiegò sull’erba e ci si sedette sopra.

Petain impone..” si poteva leggere a carattere cubitali, ma la ragazza non ci badò; probabilmente era una delle poche persone in Francia a non sapere chi fosse il Maresciallo Petain.

Vive sola qui?

No e scommetto che lei lo sapeva già. I miei genitori a quest’ora sono in campagna.

E il padre del piccolo? chiese l’uomo indicando con il mento il bimbo che succhiava.

Non c’è, tagliò corto Béatrice. Poi fece una smorfia, come per un dolore improvviso e guardò il lattante quasi con rabbia.

L’ha abbandonata con il bambino? Che bastardo.

Bastardo sarà lei, che s’impiccia degli affari degli altri.

Jean Baptiste stava per replicare quando l’aria fu lacerata da un fischio prolungato.

La peniche– disse la ragazza alzandosi in piedi- Me lo tenga.- e gli mise tra le braccia il bimbo prima che l’uomo potesse opporsi.

Il piccolo puzzava di latte e di merda e si era messo subito a strillare come un ossesso.

Lo culli, gli gridò lei mentre si allontanava a falcate decise facendo scricchiolare gli zoccoli di legno sul ghiaietto. Lui le andò dietro reggendo il bimbetto il più lontano possibile dai propri abiti.

Béatrice salutò il battelliere e iniziò a girare a mano la grossa ruota di ghisa che comandava le paratie. Il barcone scivolò silenziosamente nella camera di livello. Mentre aspettavano che l’acqua riempisse il bacino, la ragazza versò da un bottiglione che teneva lì un bicchiere di vino bianco al marinaio che a sua volta fece tintinnare una moneta da un franco in un’apposita ciotola. Chiacchieravano fitto e ogni tanto ridevano voltandosi verso Jean Baptiste.

Allora, non chiede il passaggio?

L’uomo sembrò riflettere poi, cercando di darsi un tono nonostante l’impaccio evidente provocato dal lattante, rispose:

Ho cambiato idea. È una giornata talmente bella che me la voglio godere.

Ah, ecco, fece eco la ragazza con un mezzo sorriso beffardo.

Quando furono terminate le laboriose operazioni allo sbarramento, i due tornarono al prato.

Se la cava bene con la chiusa. E non sarebbe un lavoro da donne, ci vuole molta forza.

Béatrice scrollò le spalle, poi lo guardò dritto negli occhi:

Cosa è venuto a fare qui?

Jean Baptiste non rispose subito. Tirò fuori da una tasca della giacca una stecca di cioccolato e glie ne offrì un pezzo. Poi, mentre lei lo sgranocchiava golosa, prese il giornale che era rimasto sull’erba, lo sfogliò fino a una pagina di cronaca locale, lo ripiegò per bene e gli indicò un articolo.

Legga qua sotto. le disse. Poi, temendo che lei non fosse in grado, lesse lui stesso: “dal nostro inviato Jean Baptiste Vittel”

Capisce ora cosa voglio da lei?

La ragazza scosse semplicemente la testa. Aveva la bocca sporca di cioccolato, come un rossetto mal dato. L’uomo le ripulì uno sbaffo con un dito, poi la imboccò staccando un altro quadratino dalla tavoletta e indugiando più del lecito tra quelle labbra umide. Lei, né un cenno di fastidio né un ammicco sconcio, solo il cioccolato da lasciar sciogliere in bocca.

Sto seguendo le tracce di Alain Courchevel, evaso più di un anno fa dal carcere di Auxerre, quando c’era stato il bombardamento. So che si era nascosto da queste parti e in paese mi hanno confermato che a quel tempo un “forestiero” lavorava in una cascina nei pressi della Chiusa 43, e indicò le grosse cifre dipinte sulla facciata della casa.

La ragazza ancora non parlava, così Jean proseguì:

Alain è stato dipinto come un anarchico sanguinario, ma io non la penso così. Viviamo in un periodo cupo dove è difficile raccontare la verità. Non potrò scrivere che Courchevel aveva in odio qualunque regime e ha ucciso per difendere il suo ideale di libertà. Uno come lui non poteva certo accettare di servire sotto questo governo, fantoccio dei tedeschi. Questo non lo potrò raccontare, ma potrò descrivere la sua fuga con un alone di romanticismo, l’uomo braccato che si innamora di una bella ragazza e fa un figlio perché la vita continui dopo di lui.

Béatrice rimase in silenzio, ma volse lo sguardo verso la fattoria al di là del canale, con una specie di malinconia negli occhi.

Sa, in questi giorni all’osteria del paese il vino che offrivo ha scucito molte bocche. Allusioni, mezze frasi, gesti volgari, che mi è bastato fare due più due per capire.

L’uomo si tolse il cappello e lo sistemò sull’erba per proteggere il bimbetto dal sole.

Non ho intenzione di farle correre dei rischi. Non darò riferimenti precisi, anzi ambienterò l’articolo lontano da qui, molto più a est. Sì, farò credere che la vicenda si sia svolta dalle parti di Digione, così se qualcuno sta dando ancora la caccia ad Alain verrà sviato. Non voglio fare un’inchiesta poliziesca, voglio parlare d’amore.

La ragazza sbuffò:

Amore ce n’è stato poco. Lavorava là, in quella fattoria oltre il canale, giusto un anno fa. Da qui vedevo la sua schiena luccicare al sole mentre spaccava la legna. Aveva forza nelle braccia ma non l’abilità del contadino a spaccare i ciocchi al primo colpo. Nei suoi gesti imprecisi ma potenti c’era qualcosa che mi toglieva il sonno. Lo volevo e l’ho avuto, ma non era amore.

Béatrice raccolse le gambe cingendole con le braccia. Appoggiò il mento alle ginocchia, sempre fissando la cascina. Gli occhi scuri, un ciuffo ribelle sulla fronte, lo sguardo duro come in lotta coi ricordi, era più selvatica che mai. Sembrava un maschiaccio, ma con qualcosa di irrimediabilmente femminile.

Ho attraversato il canale su quella specie di ponticello formato dalle paratie chiuse. Mi ero portata il bottiglione di bianco. Gli ho detto “tieni, avrai sete”. E mentre lui beveva a canna ho passato una mano sulla sua schiena sudata. Mi ha restituito il vino senza ringraziare, ma con uno sguardo da diavolo che a me andava meglio di un grazie ben dato. Tornai dalla mia parte annusandomi le dita, odoravano di maschio. Da quel giorno aspettai che fosse lui ad attraversare il canale.

E lui?

Lui ha impiegato una settimana per decidersi, una settimana senza mai incrociare gli sguardi. Ci ignoravamo e ci attiravamo silenziosamente. È arrivato una mattina chiedendomi del vino. Bevve dal solito bottiglione mentre io gli annusavo la schiena, lo toccavo, sfioravo le gocce di sudore. Finito di bere, mi ha preso per mano quasi senza guardarmi in faccia. Mi ha detto andiamo e siamo saliti su quella collinetta. L’abbiamo fatto in silenzio, senza fretta, ansimando, sì anche lui ansimava come se correva, doveva essere tanto che non lo faceva. Dopo mi ha chiesto come mi chiamavo. Per un mese non ha più saltato un giorno. Certe volte arrivava a notte fonda, lanciava dei sassolini contro i miei vetri, io sgattaiolavo fuori e mi appoggiavo con le spalle al muro, vicino alla conigliera. Eravamo peggio dei conigli, veloci e muti. Io però preferivo di giorno, sotto il sole, così sudava e riconoscevo il suo odore.

Com’è finita?

Lei storse la bocca.

È finita come sapevo che sarebbe finita. Un giorno mi ha detto che era lì da troppo tempo, doveva cambiare aria. Gli ho risposto “fai bene”, poi mi sono stesa sull’erba e ho alzato la gonna come sempre. È stata l’ultima volta, deve essere partito quella stessa notte, lui sì su una peniche. Ancora non mi ero accorta di essere incinta, ma non sarebbe cambiato niente. In ogni caso non gliel’avrei detto.

Per la prima volta quel giorno, la ragazza fece un gesto affettuoso al bambino. Lo prese tra le braccia e si mise a cullarlo.

Jean Baptiste raccattò il suo cappello e lo calò sui ricci arruffati di Béatrice.

Non so se scriverò proprio così come me l’hai raccontata.

La ragazza fece spallucce come non le importasse cosa avrebbe scritto.

Fu lui che quasi si giustificò.

La gente ti giudicherebbe male, io invece voglio fare di te una bella persona. Béatrice fece una smorfia, ma si capiva che a suo modo era contenta.

Con quel cappello a tesa larga in testa l’uomo pensò che era quasi bella.

27 Risposte to “Canal de Bourgogne (aprile 1944)”

  1. sibillla5 NADIA ALBERICI 22 aprile 2024 a 11:59 #

    che bel racconto!!! parte con una certa freddezza poi diventa partecipazione e tenerezza. Fuori dagli schemi consueti e dai pregiudizi…

  2. newwhitebear 22 aprile 2024 a 17:40 #

    Urca come è bello! Poetico, crudo e tanto reale.

    Complimenti

    • massimolegnani 22 aprile 2024 a 18:51 #

      Quell’urca e’ stupendo, sa di parole schiette che ho molto gradito
      Grazie Gian
      ml

      • newwhitebear 22 aprile 2024 a 20:53 #

        In tutta onestà mi ha molto colpito e avrei voluto scrivere di più ma quell’urca è uscito di getto.
        Bella serata Massimo

      • massimolegnani 22 aprile 2024 a 21:16 #

        🙂
        anche a te

      • newwhitebear 22 aprile 2024 a 22:06 #

        Bella serata Massimo

      • massimolegnani 22 aprile 2024 a 22:33 #

        🙂

      • newwhitebear 22 aprile 2024 a 22:43 #

        😀

  3. Alex 22 aprile 2024 a 18:15 #

    Un collaborazionista che cerca di stanare un resistente interrogando una giovane madre. Per tutto il racconto si percepisce la violenza di questo Jean-Baptiste Vittel (la sigaretta preludio all’interrogatorio, le domande breve: “lei si chiama Beatrice, vero?” il riferimento a Pétain, le menzogne dell’uomo, la violenza dell’episodio del cioccolato e quello del cappello…). Beatrice non si lascia ingannare dall’uomo e racconta la storia che è banalissima senza dargli informazioni che meriterebbero di essere pubblicate. Contenta per questo e per essere stata più furba di Jean-Baptiste Vittel…..

    Buongiorno Massimo,

    Alex

    • massimolegnani 22 aprile 2024 a 19:08 #

      La tua interpretazione in chiave storico-politica e’ una delle ipotesi possibili, decisamente credibile visto il clima dell’epoca. Io non avevo immaginato Jean Baptiste come una spia ma come un giornalista che vivacchia del suo mestiere e cerca di tenersi lontano dalla politica, mentre concordo con te sulla figura della ragazza che non si fida dell’uomo e sicuramente non è attratta da lui, gli dà poche notizie e si mostra più furba lui.
      Ti ringrazio molto del tuo commento
      Ciao Alex
      ml

  4. flampur 22 aprile 2024 a 18:25 #

    Quasi fuori dai tuoi schemi abituali, come un esercizio di stile ma permeato della tua riconosciuta sensibilità, un racconto che vibra di potenzialità e voglia di sporgersi su altri scenari..

    Franco Battaglia

    • massimolegnani 22 aprile 2024 a 19:14 #

      Forse ho fatto un inquadramento storico più dettagliato del solito, ma in fondo il giornalista mi è servito per poter raccontare indirettamente la breve storia ( di sesso più che d’amore) tra Beatrice e il misterioso fuggiasco.
      Grazie, Franco, ciao
      ml

  5. vittynablog 22 aprile 2024 a 22:27 #

    Veramente bello e spiegato benissimo, a tal punto che mi sembrava di essere sul prato col giornalista e la ragazza ad ascoltare la storia direttamente!!! Sei veramente bravo!!!!

    • massimolegnani 22 aprile 2024 a 22:34 #

      Ti ringrazio tanto, Vitty, mi fanno molto piacere le tue parole.
      Buona notte 🙂
      ml

  6. rajkkhoja 23 aprile 2024 a 12:46 #

    Very nice story.

    • massimolegnani 23 aprile 2024 a 13:34 #

      Thank you very much, Raj
      Good evening
      ml

      • rajkkhoja 23 aprile 2024 a 13:47 #

        Most welcome, Massimo.

        Have a good afternoon!

        Raj🙋

      • massimolegnani 23 aprile 2024 a 15:38 #

        🙂

  7. Neda 23 aprile 2024 a 14:20 #

    Un gran bel racconto che mi ha fatto pensare a Simenon e non solo per “l’écluse”.

    • massimolegnani 23 aprile 2024 a 15:42 #

      oh, Neda, non potevi farmi complimento migliore, a me piacciono le atmosfere dei romanzi di Simenon e ho sempre ammirato la sua scrittura pacata per quanto torbide possano essere le sue trame.
      grazie Neda e buon 25 aprile
      ml

      • Neda 28 aprile 2024 a 09:33 #

        sempre grazie a te Massimo.

      • massimolegnani 28 aprile 2024 a 10:28 #

        grazie Neda, buona domenica 🙂

      • Neda 28 aprile 2024 a 10:37 #

        Altrettanto a te.

      • massimolegnani 28 aprile 2024 a 10:41 #

        🙂

  8. UnUomoInCammino 30 aprile 2024 a 06:36 #

    Trovo efficace l’espressione “Quello/a mi fa sangue!”.

    Le donne non si concedevano / concedono facilmente perché qualche minuto od ora di spasso hanno conseguenze che durano lustri.

    Bel racconto!

    • massimolegnani 30 aprile 2024 a 18:37 #

      Grazie!
      E’ vero le donne non si concedevano facilmente per ovvi motivi di morale corrente, ma Beatrice non era il tipo da riflettere sulle conseguenze, ha voluto quell’uomo e l’ha preso, e ora si tiene la “ conseguenza “ senza pentirsi di nulla.
      Un saluto
      ml

Lascia un commento