la maschera bianca

8 Nov
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Dire che frequentava un corso di teatro gli sembrava un’iperbole intollerabile. Camillo preferiva dire che andava a un laboratorio, mantenendosi il più vago possibile, che le parole troppo dettagliate erano un azzardo inaccettabile. Ma che laboratorio?, chimica, botanica, ebanisteria?, capitava che lo incalzasse qualche amico particolarmente curioso, di quelli sempre pronti a deridere le sue iniziative. E allora lui, di malavoglia, come dovesse ammettere una colpa, biascicava termini strampalati come fisica comportamentale o autogestione dell’ansia, sufficientemente sinceri e nello stesso tempo sufficientemente ambigui per non indirizzare l’interlocutore nella giusta direzione. Tutto questo tergiversare con gli altri era dovuto al fatto che nemmeno lui era pienamente convinto che avrebbe perseverato nelle lezioni.

Vista la locandina in libreria si era iscritto all’istante, prima che troppe riflessioni lo paralizzassero. Ora però si stava rendendo conto che era una cosa impegnativa, forse superiore alle sue forze. Ciò che lo preoccupava non era tanto l’idea di salire sul palco, stare sulla scena, e già questa prospettiva gli creava qualche ansia, quanto il percorso che l’insegnante proponeva per raggiungere quell’obbiettivo. Occorreva mettersi in gioco, e fin qui tutto bene l’autoironia era il suo forte, prendere coscienza del proprio corpo, spogliarlo delle difese, interagire con gli altri, cercarne il contatto fisico, e questa era un’escalation emotiva che gli creava disagio.

I suoi compagni di corso avevano atteggiamenti quanto mai variegati, alcuni affrontavano i contatti con una spavalderia che aveva qualcosa di artificioso, pochi mostravano una serenità pacata e si lasciavano impregnare come spugne dalle novità, altri, i più, sembravano nelle sue stesse condizioni, sballottati tra imbarazzo, desiderio di fare e timore di risultare ridicoli.

Camillo vedeva tutto ciò e finiva col sommare l’insicurezza sua a quella degli altri. Eppure non perdeva una seduta, s’impegnava a essere diversamente se stesso, dava fondo a un entusiasmo sconosciuto, sebbene la tentazione di rinunciare a quelle scariche di adrenalina non lo abbandonasse mai.

La sera della maschera lo colse in contropiede. Indossare a turno una maschera bianca, inespressiva, con solo due feritoie per gli occhi, stendersi sulle assi del palco, dimenticarsi di sé e risorgere esprimendo a gesti un desiderio di essere altro. Mentre l’insegnante spiegava, Camillo fu preso dal panico, gli chiedevano di essere nudo, la maschera unica protezione, non ce l’avrebbe mai fatta, sarebbe rimasto lì impalato, incapace di dar vita ad alcunché. Tolto quello che faceva apparire esteriormente, gli sembrava non ci fosse altro camillo da mostrare.

Fu il turno di Alda, l’allieva più simile a lui per titubanze, smarrimenti e timido entusiasmo. Mentre saliva i due gradini il suo volto era terreo. Poi si calò la maschera, si stese a terra e vi rimase un tempo che a lui sembrò enorme. Quando finalmente si alzò, la maschera impediva di capirne lo stato d’animo, ma il suo corpo dava l’idea che ora occupasse il palco con convinzione. Si allungò di lato come cercasse di captare una musica lontana, rimase in ascolto e cominciò a battere il tempo con un piede e a scuotere la testa al ritmo di note inesistenti. Poi si mise a muovere le dita sempre più freneticamente sui tasti invisibili di uno strumento che sembrava stringere tra le mani. Non poteva che essere un sassofono.

Camillo era incantato, una donna col sax, il suo primo pensiero. Non una donna che finge di suonare il sax, perché ai suoi occhi la finzione era già scomparsa. Alda accompagnava i suoni con movimenti flessuosi del busto, ora piegandosi in avanti a convogliare tutta l’aria dentro lo strumento ora inarcandosi a esalare l’ultima nota. A lui tornarono in mente i gesti di un sassofonista che aveva osservato dalla riva della Senna mentre costui si esercitava sull’altra sponda. Il frastuono del fiume e della città non gli faceva sentire i suoni gutturali del sax ma lui intuiva la bravura del musicista da come si muoveva in sintonia con lo strumento. Ora Alda era più brava perché non aveva né suoni né sassofono, eppure gli faceva giungere brividi d’emozione come l’ascoltasse davvero.

Alla fine della breve rappresentazione la donna confidò che il sassofono era la sua passione segreta, lo aveva suonato un tempo poi l’aveva abbandonato, ma la nostalgia era forte.

La metamorfosi che aveva subito Alda sul palco infuse fiducia a Camillo sulle proprie possibilità. Così prese la maschera e si avviò verso il palcoscenico. Ancora non aveva idea di cosa avrebbe fatto ma era sicuro che anche lui una volta calata la maschera si sarebbe trasformato.

E di lì a pochi minuti Camillo nuotava trasognato nel liquido amniotico.

14 Risposte a “la maschera bianca”

  1. arielisolabella 8 novembre 2014 a 10:06 #

    Quando sono andata al carnevale di Venezia ho comprato è messo in quei giorni diverse maschere ma mai complete .ho volutamente lasciato la bocca libera. per una cantastorie del mio calibro sarebbe stato intollerabile.Provero’ come Camillo.

    • massimolegnani 8 novembre 2014 a 12:42 #

      è una sensazione affascinante: non puoi la voce nè la mimica facciale e allora devi usare i gesti e il corpo per comunicare. Provala!
      ciao Ariel,
      un sorriso.
      ml

  2. Claire 8 novembre 2014 a 12:00 #

    Brividi pazzeschi e una carica di emozioni che mi ha travolta. Chi ha provato, sa.
    Grazie.

    • massimolegnani 8 novembre 2014 a 12:45 #

      sai, scrivendo ho pensato anche a te. Ricordo che leggendo il tuo resoconto stentavo a credere all’intensità delle emozioni che descrivevi. Solo quando ho provato, ho capito che non esageravi.
      un abbraccio, Claire.
      ml

  3. ildirigibileinvisibile 8 novembre 2014 a 15:46 #

    Mi hai fatto tornare alla mente il primo giorno di laboratorio… che gran bella cosa il teatro… pollice in su!

    • massimolegnani 8 novembre 2014 a 17:10 #

      sono d’accordo con te. Almeno le prime impressioni sono state positive. vedremo il seguito.
      ciao e
      benvenuto qui.
      ml

  4. Lisa Agosti 9 novembre 2014 a 20:02 #

    Mi hai riportato agli anni in cui facevo questi laboratori, le emozioni descritte sono verosimili, il trasporto è assicurato!

    • massimolegnani 10 novembre 2014 a 09:19 #

      sì emozioni vive, imprevedibili.
      contento che hai vissuto anche tu quest’esperienza.
      ciao,
      ml

  5. righe orizzontali 9 novembre 2014 a 21:03 #

    “s’impegnava a essere diversamente se stesso”. E’ la fatica più grande.

    • massimolegnani 10 novembre 2014 a 09:22 #

      già, è così e alla fine ti accorgi di essere stato diverso da te senza esserti smentito 🙂
      ciao,
      ml

  6. Lisa Miller 10 novembre 2014 a 08:53 #

    Il potere di una maschera…

    • massimolegnani 10 novembre 2014 a 09:24 #

      ..una maschera che non sia nascondiglio ma specchio 🙂
      ciao Lisa,
      ml

  7. giuliagunda 20 novembre 2014 a 01:18 #

    È adorabile, camillo. 🙂

    G.

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