Perché la sedia?, mi chiede lui con una curiosità fresca, impellente, come fosse successo la notte scorsa e non quasi sette anni fa. Gli sorrido seria, come una distanza che non voglio colmare, davanti a questo caffè impacciato che rimesto di continuo pur non avendolo zuccherato. È che non ci si dovrebbe mai reincontrare per caso, bisognerebbe al massimo un cenno di saluto e poi tirare dritto dopo che le strade si sono spontaneamente divaricate. Io amo la nebbia in cui mi muovo a mio agio e odio l’attimo in cui una folata di vento più feroce delle altre scoperchia improvvisamente il cielo. Ma questa non è una risposta che gli possa dare, quindi continuo a sorridere muta e a rigirare il cucchiaino nella piaga della domanda. Già, riapre una ferita la sua domanda, i ricordi belli sono ferite esposte alle intemperanze della memoria. Avevamo tutto quella sera, la confidenza negli sguardi, il desiderio nelle mani e la rara possibilità di amarci, avevamo il tepore del plaid sul divano, l’agio di un letto, la morbidezza del tappeto davanti al camino, la soffice accoglienza della poltrona grande, io scelsi la scomodità essenziale della sedia di paglia. Non per stravaganza ma per necessità: non mi sarebbe bastato amarlo, fare un amore sontuoso e complice, toccare apici, ardire estrosità, pronunciare promesse, protestare innocenza, io quella notte volevo la durezza di uno scoglio che ci penetrasse nella carne, avevo fame di simboli e possesso, io donna avrei voluto un cazzo per inchiodare il mio uomo per un istante infinito al legno, io donna quella notte ho fatto il pocotanto che volevo e il mio uomo me lo sono inchiodata al cuore.
Se mai dovessi attraversare un mare, l’Adriatico per dire, userei una zattera, per il contatto con le onde e la solida precarietà del navigare. Glielo dico con riluttanza, come estremo tentativo di spiegare con la ragione ciò che appartiene a un’altra sfera.
Questa volta è lui a sorridere perplesso. Smetto di girare il cucchiaino, ma non bevo. Mi alzo. Gli passo una mano indulgente sullo smarrimento del volto e mi allontano. La sedia! che bisogno c’era di chiedere? A me, già allora, era sembrato tutto così evidente.
*Il brano ha partecipato a un’iniziativa di Paolo che ha dato il la con un suo racconto (uncieovispodistelle.wordpress.com)
Se ci penso bene, ci sono state alcune sedie e conversazioni e domande stupide così, nella mia vita. Forse ce ne sono nella vita di ciascuno di noi. Almeno spero…
domande stupide di uomini che non arrivano a capire il senso sottile delle donne.
ml
Credo che molti uomini siano propensi a dare all’amore “cornici pre-stampate”, fondamentalmente per un bisogno di auto-rassicurazione, per la necessità di rimanere dentro certe dinamiche mentali, che finiscono per assorbire anche l’imprevisto, vale a dire la vita vera…sono andata fuori tema? comunque mi è piaciuto molto questo post!
no, sei rimasta perfettamente in tema.
questa donna non dà rassicurazioni, segue istinti e significati imprevedibili.
grazie Sabina
un sorriso
ml
e per questo “destabilizza”
esatto 🙂
È difficile capire gli uomini
in fondo ho messo la gonna proprio per dire questo
ciao 🙂
ml
La necessità di voler sapere tutto anche cose che non devono essere spiegate ma prese così, con il carico emotivo che hanno senza chiedersi da dove arriva… prenderle e abbracciarle, tutto lì.
🙂
..e a voler capire (anzichè “sentire”) a tutti i costi si finisce con lo svilire l’accaduto
un sorriso Tati
ml
Esattamente 🙂
🙂
Chiedere toglie ogni poesia, a volte. Uomini!
sì, proprio quello che stavo dicendo a Tati 🙂
ciao Tiffany
ml
Ciao Massimo, comunque ho dimenticato di dirti che mi è piaciuto molto. 😊
eheh, l avevo intuito:)
Grazie!
Bello questo volo da una sedia al passato. All’appoggio transitorio erotico.
Come sempre bravo: dieci più
Eletta
Particolarmente indovinato “appoggio transitorio erotico” riferito a questa sedia:)
Grazie Eletta, mai preso dieci, a scuola, figuriamoci più!
ml
😀😀😀 voto assolutamente meritato
Buona serata carissimo
🙂 anche a te, Eletta 🙂
La tua sedia ha la forza della presa di coscienza, improvvisa, dirompente, fatale che a volte avviene di fronte a un dettaglio, ascoltando una frase, una parola. Allora, si vede tutto in modo diverso. Niente è più come prima. Per la protagonista di questo brevissimo e incisivo racconto è un’occasione, a mio avviso, uno scatto, un passo avanti, un’evoluzione. Qualcosa che le permette di lasciarsi il passato alle spalle. Mi sono piaciute da subito la forza, l’incisività, l’essenzialità di questo brano (come quella stessa sedia). Il modo in cui delinea in modo netto il confine (il più delle volte invalicabile, temo) fra il modo di sentire e di intendere di due persone, fra uomo e donna, anche. E nel farlo, giustamente, ti sei messo dalla parte della ragione… 🙂
eheh, Paolo, mi sono messo dalla parte della ragione, è vero, ma è la parte di chi ha rifiutato la ragione e si è fidata dell’istinto.
e la domanda di lui, così ragionevole nel voler comprendere i gesti come fossero una formula matematica, lei non solo la trova inopportuna,
soprattutto la considera la misura della distanza tra loro.
mi fa doppiamente piacere il tuo apprezzamento, per la cosa in sè e per il gioco di rimandi che c’è stato tra il tuo brano e il mio.
un abbraccio fraterno
ml
Già. Un bel gioco di parole. 🙂
La ragione è nel sentire… (adesso scomodiamo anche la Austen…)
🙂
Ancora tu? Ma non dovevamo vederci più?
Scrittura bella, bella, bella. Mi è piaciuto molto.
… e lui che ancora chiede, dopo sette anni…
ecco, in due battute hai condensato l’essenza del racconto 🙂
grazie missis per l’apprezzamento
ml
Maledetta pretesa il capire. A volte basta sentire. La sedia serve a sentire. Punto
perfetto! perfetta!
🙂
ml
“la durezza di uno scoglio che ci penetrasse nella carne” Tu uomo capisci a fondo… chi ti ha raccontato? a quante hai chiesto? chi ha fatto la spia?
non c’è bisogno di chiedere, alle donne. basta osservarle con sensibilità e allora le si capisce
grazie molly, benvenuta
ml
Osservare non è da tutti. Con sensibilità è da pochissimi. Grazie a te Massimo
🙂
…”come fosse successo la notte scorsa e non quasi sette anni fa. ”
Nove anni fa, per caso, incontro un vecchio amico che non vedevo da quarant’anni esatti. Mi apostrofa come se ci fossimo lasciati la sera prima e mi dice “Noi che siamo amici da quarant’anni…” – “No, gli rispondo, noi eravamo amici quarant’anni fa, ora siamo degli sconosciuti che non sanno che cosa sia successo all’altro in questi quarant’anni”.
severissima Neda, ma avevi ragione!
un sorriso
ml
Buona notte, fa bei sogni.
grazie Neda, buonanotte anche a te
questo tuo modo che passa esattamente ogni emozione….
vado a sbirciare da paolo!
Vai a vedere, troverai belle cose
ml
Immagino!!!!!
Magari!
Ti sorrido
😊
L’ho letto due volte, credo che ci sarà una terza! La sedia è solo in pretesto per un discorso più profondo. Mi è piaciuto tanto come hai usato le parole 😊 c’è della poesia! E la donna poi credo rispecchi moltissime, se non tutte le donne. Quel bisogno di farsi capire, ma frenato dalla consapevolezza che è inutile, che non si arriverà veramente al punto della situazione… ma la verità è che ormai non ha senso ritornarci.
Intanto mi fa molto piacere questo leggere e rileggere, come un voler avvitarti nel racconto.
Poi hai indubbiamente ragione, dietro questa donna ci sono tutte le donne, il loro impulso a scelte poetiche e irragionevoli con la consapevolezza di non venir comprese (noi uomini siamo limitati) e la soddisfazione di agire per se stesse.
Grazie Aria
ml
L’ho riletto perché le parole erano veramente piacevoli! E poi perché ho avuto la sensazione che mi sfuggisse qualcosa 😎 .
Grazie per la bellezza! 😊
A parte l’amara verità che gli uomini e le donne quasi sempre non si comprendono.
Grazie a te, perche’ soppesare un brano, tornarci, e’ una gratificazione per chi l’ha scritto 🙂
scrivi leggero, tanto che le parole solleticano il cuore restandovi impresse…
questo è proprio un bel complimento che mi fai
grazie 🙂
ml
grazie a te… x quello che trasmetti 😊
un sorriso
😊