Andare controvento sulla strada dell’argine è roba da donChisciotte e i suoi mulini, una battaglia ingenua che sfianca e acciacca. Mi ostino a spingere, ma ogni metro avanti ti sembra di scivolare indietro. Lotto per un’ora, sperperando energie e bestemmie, poi faccio l’unica cosa logica, abbandonare l’argine per la strada bassa, che spero più protetta. Supero un ragazzo che piantato ad un incrocio sta consultando una cartina. Quella cartina dalle notizie incerte, nell’era degli infallibili display, me lo rende subito simpatico, ha il mio stesso anacronismo. Gli sorrido e gli faccio cenno di seguirmi, la direzione è questa, per qualunque dove provenendo da Ferrara.
Sulla provinciale il traffico è scarso e la pedalata più sciolta, ma a tratti il vento ancora infila strani corridoi tra il fiume e la campagna sbarrandomi il cammino. Così rallento e mi faccio superare dal ragazzetto, è giovane e ha una bici da corsa, fatichi lui a tagliare l’aria col coltello. Mi accodo di conserva alla sua ruota e osservo pigramente i suoi dettagli. Ha uno zaino sbilenco sulle spalle da cui pende un tegamino, e uno strano supporto fissato al sottosella su cui ha sistemato minitenda e saccoapelo. Strano, ha gambe depilate da campione eppure pedala in modo molle, come svogliato. Non vedo muscoli tendersi nello sforzo, manca il bel disegno dei polpacci quando il piede spinge sul pedale. Procediamo sempre più lentamente, cristo santo è il primo giorno di viaggio, sognavo la baldanza che ignora la fatica e mi ritrovo a rifiatare dietro a un lumacone stanco. Una miseria desolante questo andare fiacco quando davanti a me c’è ancora una distanza sterminata.
Mi affianco al mio compagno occasionale e gli chiedo se viene da lontano, forse è partito all’alba e adesso sta finendo la benzina. Olanda, mi dice. In bici?! No, d’estate lavoro sul Garda. Le parole sono più lente dei pedali, di fiato da sprecare ce ne ha davvero poco. Impiego altre battute prima di rendermi conto che la voce è femminile. Guardo meglio: sotto il casco calcato sulla fronte, dietro la polvere incrostata sulla pelle, tra le gocce di sudore che l’aria asciuga prima che solchino le guance, inaspettata una ragazza. Difficile dire se sia bella, non me lo chiedo. Ho il medesimo stupore di quando vedo un fiore farsi largo tra i rifiuti sul ciglio di una strada; non faccio caso se manca qualche petalo o se il gambo cresce sbilenco, mi basta che ci sia.
Andiamo avanti fianco a fianco, ogni tanto una parola, questo vento uhff, già, guarda, bello, ma più che altro ci scambiamo silenzi senza fiato. E quando la vedo troppo stanca mi metto io a tirare, fingendo forze che in realtà scarseggiano. Entriamo in un paesotto, le chiedo da che parte vai?, lei fa un gesto vago indicando una direzione incerta verso est, le ribatto io attraverso il Po, mi spingo a Nord, e forse c’è un invito nella voce. All’incrocio una perplessità breve e muta, ma poi restiamo schiavi delle nostre affermazioni, così prendo lo stradone verso il ponte di barche, lei prosegue dritto.
Non ci siamo salutati, le strade dei ciclisti si ricongiungono sempre, in qualche luogo indefinito.
Sarà, ma già penso a lei come a qualcosa che sfuma all’orizzonte.
Pedalo in una campagna triste, svuotata, che ha già dato il poco che poteva e ora resta lì, inerme, a farsi battere dal vento. E io con lei. Prima di sera devo arrivare a Chioggia, il vero punto di partenza da cui prendere il largo. Devo arrivare a Chioggia, mi ripeto in una litania che ha la cadenza fiacca dei pedali. E intanto la fatica mi stordisce.
Non mi voglio voltare, ma ho l’impressione che lei mi abbia raggiunto e ora mi segua succhiando silenziosamente la mia ruota con la sfacciataggine dell’ultima stanchezza. O la stanchezza è mia e così tanta da farmi percepire presenze inesistenti. Vado a salutare il vostro mare prima che sia di nuovo Olanda e inverno, mi aveva detto spremendo il fiato corto. Troppo facile voltarsi per verificare, non voglio. Così me la trascino dietro e mi sembra una fatica doppia, un pedalare per entrambi vagamente eroico, di nuovo donChisciotte. Mi preoccupa la tenda, quell’intenzione che aveva di dormire dove capita. Non hai paura?, le avevo chiesto, e lei aveva scrollato le spalle. Adesso forse ha cambiato idea, si sente più sicura se mi viene dietro, intanto mi segue poi deciderà se accettare il conforto di una camera d’albergo. Ogni tanto provo a sbirciare se vedo la sua ombra ma il sole non mi aiuta. Allungo l’occhio indietro e in basso, senza però girarmi. Non la vedo, si dev’essere appiattita alla mia ruota. Sento nell’aria il suo vago profumo di donna, distinguo, tra salsedine e marciume, un sudore meno acido del mio. Gretel o Greta o Greti, non ho capito bene il suo nome, più tardi glielo richiedo. Quando ci fermeremo devo insistere per l’albergo, ho l’ossessione di una violenza in tenda come ultimo saluto dall’Italia. O forse sono meno nobile e tiro solo l’acqua al mio mulino.
Stasera avremo modo di parlare, mi racconterà del suo Paese delle biciclette e dell’amore per l’Italia. Stasera tutto può essere, volano i pensieri più veloci dei chilometri.
Forza, le grido, siamo quasi a Chioggia.
Non risponde, ma io non mi voglio voltare.
Notavo come, spesso, nei tuoi racconti c’è una forte immedesimazione, preoccupazione (mi verrebbe quasi da dire affetto) per l’altro, che risalta ancora di più perché, il più delle volte, è uno sconosciuto; sembra entrare nella tua vita, anche solo per poco tempo, come una persona cara.
Mi sono ricordata di quando sei ripassato sotto al mio racconto del treno e ho capito perché lo hai apprezzato tanto.
(ah e poi ho notato anche che hai un po’ una fissa col nome Greta 😁)
oh, me lo ricordo bene il tuo racconto del treno, non i dettagli ma il senso morbido, il fiato dei tuoi pensieri che avvolgevano l’altra. E intendo bene dove trovi la comunanza tra quel racconto e questo, e la cosa mi piace.
(eheh, il nome Greta è un puro caso, qui ho riesumato vecchi appunti di viaggio e c’era quel nome 🙂 )
ciao, Valeria, mi è molto piaciuto questo tuo commento 🙂
ml
Non ti voltare… Orfeo docet….
Bello, come ogni volta, leggerti!
sembra incredibile ma non ci avevo pensato al mito di orfeo. e invece l’attinenza è perfetta, quasi una rivisitazione.
se mi fossi voltato Greta sarebbe tornata nell’ombra.
grazie Marilena di avermelo segnalato
🙂
ml
Sono molto contenta della tua positiva reazione al mio accostamento col mito che è scaturito, spontaneo, leggendo il tuo racconto.
Belle cose magiche che ,per nostra fortuna, accadono e nutrono lo spirito!
sì, un po’ di sogno, di magia, aiuta.
un sorriso, Marilena
Meraviglioso. Sei un poeta. Canti la donna come pochi sanno fare. E si sente come lei riesce a ispirare i tuoi versi (perché la tua prosa ne è piena; dal fiore, alla goccia di sudore, all’ombra). Ci hai abituati bene. Leggerti è un viaggio fatto di parole affastellate con arte artigiana e schietta, incisiva e piena di senso. Non smettere mai.
le donne, le piante, gli animali costituiscono per me un tutt’uno dove le prime a volte nella mia testa prendono le sembianze di betulle o di volpe.
grazie Paolo per il bell’apprezzamento
🙂
ml
Sorrido. E’ vero.
Ma qui sei andato oltre, facendo dell’immaginazione di una presenza, del suo sudore, della sua pedalata muta, motivazione e sogno. Non potevi renderlo meglio.
Ho tradotto a parole quella che era stata la sensazione un poco allucinata di quel giorno mentre pedalavo.
Grazie ancora, Paolo
Non ho capito bene da dove proveniva. Ferrara? Boh! non dista molto da Chioggia – in modo relativo, salvo che non stavate percorrendo l’argine destro del Po verso il delta e da lì risalire verso Chioggia. Sarò un fissato ma mi piace conoscere i dettagli.
Tolta questa curiosità il racconto è bello e riassume le sensazioni che si prova quando viaggiando in bicicletta si incontra un altro ciclista e di dimezza sufore e fatica pedalando in compagnia.
sì, eravamo lungo l’argine destro e tirava un forte vento contrario, come andare in salita 🙂
contento dell’apprezzamento
ciao GianPaolo
ml
Quando tira vento si sente 😀 Zona che conosco bene, visto che sono di Ferrara
Ah, ecco perché sapevi così bene distanze e tempi di percorrenza:)
eri un po’ fuori dai tuoi percorsi naturali 😀
sì, niente salite, pochi boschi..ma il delta del Po mi è molto piaciuto
ha un suo fascino senza dubbio
Sì!
ciao
🙂
Racconto piacevole, grazie, ci fai compagnia 🚲
grazie a te che hai gradito la mia compagnia 🙂
ml
Bellissimo racconto, non mi deludi mai. Ti sei poi voltato?
alla fine mi sono voltato, ma dietro di me non c’era nessuno. Sigh!
🙂
ml
Mi auguro abbia scelto un albergo… quante vite che potresti raccontare..
già, quante vite ci passano accanto, interi romanzi 🙂
(penso abbia optato per la tenda, mi auguro all’interno di un campeggio)
Bello questo tuo racconto e i ricordi che mi hai risvegliato.
1981, luglio, mio fratello più vecchio, nato nel 1939 e di professione impiegatizia, decide di festeggiare il divorzio, partendo da Vienna, in bicicletta con armi e bagagli, tenda e materassino appunto, per recarsi a Istanbul. Ce la fa in un mese. Per il ritorno trova un passaggio da un pazzoide tedesco che aveva ristrutturato una vecchia ambulanza e in tre giorni ce lo troviamo a casa, qui nella bassa bresciana, a notte fonda, sempre con bici, armi e bagagli. Il tedesco riparte dopo essersi rifocillato. Mio fratello resta da noi per una settimana per riprendersi e ritornare poi a casa in treno (abita in Svizzera dagli anni ’60) e quello che mi ha impressionato è che non sono riuscita a far tornare morbidi e puliti i suoi calzoncini e maglietta: sembravano di cuoio rinsecchito. Credo che ogni tanto si tuffasse in qualche ruscello per lavarsi, così com’era vestito, ma non ho mai avuto il coraggio di chiederglielo.
Mi piace come i miei diari farneticati ti innescano i ricordi. Fantastico il viaggio di tuo fratello, confesso che io non me la sarei sentita, non tanto per la fatica quanto per l’imprevedibilita dei luoghi attraversati. Quanto ai pantaloncini divenuti cuoio penso che più che nei ruscelli vi abbia fatto bagni in mare come è successo a me nel golfo di Trieste surriscaldato (io) dal caldo e dalla fatica. E la salsedine poi me li ha seccati 🙂
Ciao Neda
ml
E’ arrivato a casa disidratato e con diarrea. Non riuscivamo a calmare la sua sete e la sua fame. Si era letteralmente svuotato e poi è come rinato, svuotato dal precedente e pronto a una nuova vita.
Aveva anche attraversato la Romania di Ceausescu, nella quale c’era, secondo lui, una carestia e i contadini gli offrivano pane, pomidoro e qualche uovo. Non trovava carne nelle trattorie di campagna.
Per fortuna non venimmo a conoscenza della sua “impresa” quando capitò da noi al ritorno, altrimenti tutta la famiglia sarebbe stata in pena pensando a quello che gli sarebbe potuto succedere.
Mio fratello parla le quattro maggiori lingue europee, come io del resto, per cui, bene o male, è sempre riuscito a farsi capire anche nei Balcani.
Davvero in gamba e intrepido tuo fratello
Più che altro, mezzo matto.
eheh non c’e’ tanta differenza dalla mia affermazione 🙂
quanto mi piace leggerti, ma non tramutarla in sale. Guarda avanti e tienila di zucchero
Ho resistito fino all’ultimo, poi alla periferia di Chioggia mi sono voltato e dietro di me il nulla, solo un profuma di sale nell’aria proveniente dal mare
Così doveva essere
purtroppo 🙂
Mi hai appena scritto che ti piace narrare inventando. Ma la monella che c’è in me mi dice che questa è realtà.
Buona serata
Eletta
La monella ha sempre ragione!
ho dilatato quella che nella realtà era stata la sensazione di un attimo 🙂
Bello dilatare una sensazione. Bravo buon sabato
grazie, è stato buono 🙂
buona domenica a te
ml
🌠
🙂
“… non faccio caso se manca qualche petalo o se il gambo cresce sbilenco, mi basta che ci sia”. Sta tutto qui. Non sono in grado e non desidero aggiungete altro. È un’intensità che si chiude a cerchio su se stessa, meravigliando.
che bello il tuo commento, grazie davvero.
ciao Claudia
ml
Di nulla, solo un piacere.
un sorriso