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Il bello di Novembre è che non costringe a levatacce assassine se vuoi vedere l’alba, te l’apparecchia lui come una colazione quando sei già in piedi.
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Il bello di Novembre è che non costringe a levatacce assassine se vuoi vedere l’alba, te l’apparecchia lui come una colazione quando sei già in piedi.
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Insistono gli inquirenti ad incolparmi di inesistenti intrighi. Gl’indizi? Inconsistenti: un incontro informale con individui già iscritti tra gli indagati.
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Guarda questa vecchia auto straniera che gira come una trottola per le strade di Frascati e guarda l’uomo e la donna a bordo. Ogni volta che li vedo passare, io mi sento soddisfatto.
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La storia siamo noi, canta DeGregori, e in effetti in questa breve storia siamo noi i protagonisti, io ed Enea, detto Nene, il mio amico gatto.
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Siamo così, alberi al sole di mezz’autunno, maestosi all’apparenza, le foglie ancora tutte ai rami come una dimenticanza, un vezzo quei colori audaci a farci giovani, una frivolezza il canto degli uccelli tra le fronde.
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La mia fortuna è stata essere lì al momento giusto, il resto l’hanno fatto la luce di novembre e la maestosità dell’albero. E non ho avuto bisogno di ritoccare la foto per renderla più suggestiva, quelli che vedete sono i colori autentici della pianta al tramonto, dal giallo slavato dei rami bassi a un incredibile rosa di quelli ancora esposti al sole.
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Ogni vita è un mosaico difficile da comporre perché, se alcune tessere sono lì a disposizione di tutti, precise e facili da collocare, altre hanno una forma bizzarra che mal si adatta al resto noto, oppure sono ricoperte da una patina che le rende poco comprensibili. Alcune poi mancano del tutto, il lato nascosto della luna che ciascuno di noi cela agli altri.
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Si fa presto a dire rosa, come bastasse il nome ad evocarne la bellezza e la passione. Ma il nome è assurdo, spesso contraddetto dal colore, e il fiore è ovvio, come la sua declinazione, unico residuo rimasto in testa del latino.
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Le tre liquidamber formano una quinta compatta e delicata, tutta giocata su morbide sfumature che virano da un verde pastello a un tenue giallo. Le singole foglie appaiono come tessere di un mosaico dipinto a colori timidi, solo accennati, per dare un’immagine autunnale insolita, omogenea, priva di contrasti.
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Come chiamarti, ora che l’alfabeto è andato in cocci e la voce resta immobile in un silenzio che si espande come una cancrena? Come chiamarti, se il pomeriggio che procede incerto sfuma i tuoi contorni e io confondo l’ieri col domani, il ricordo con l’attesa?
Si sta facendo tardi qui tra questi ciottoli dove non distinguo l’onda che porta le conchiglie a riva dalla risacca che le risucchia in mare. Con le conchiglie tu, che non so più se devo attendere alle spalle, ancora immersa nel sonno della stanza, o cercare tra quelle poche teste che spuntano dall’acqua. E intanto vai e vieni nella mente in una sarabanda senza senso, che ti sento ridere quando ti ricordavo piangere.
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